Ci sono voluti tre anni per i finnici per tornare con un nuovo lavoro.
In compenso sono diventati un terzetto ma la formula non è cambiata di un millimetro, perché qui abbiamo del doom/death metal vecchia scuola intervallato da parentesi melodiche e un vocione profondo come da tradizione.
L’elemento che balza subito è la dinamicità, perché il trio alterna tempi pesantissimi, dove le chitarre costruiscono un muro a cavalcate serrate.
Due esempi sono “
Lugubrious dance” che ha uno scatto in up tempo al suo interno oppure la conclusiva “
Into haunted oblivion”; discreta la cover dei
Duran Duran, “
Save a prayer” che diviene un pezzo doom ma la bellezza malinconica dell’originale è difficile da replicare.
Un settimo album fatto molto bene, senza stravolgimenti ma con un culto della tradizione forte e passione, da avere.
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