Mai troppe parole potranno essere spese per quella che è da considerarsi come una delle più fondamentali epic metal band della storia, al pari di Manowar, Warlord e Manilla Road. King of the Dead è il loro secondo studio album, datato 1984, quello che meglio rappresenta, a mio parere, l'essenza di un sound unico e inarrivabile inaugurato col primo Frost And Fire (1981) e chiusosi definitivamente con l'ultima realizzazione, Paradise Lost del 1991, alla quale segue lo scioglimento della band. Perfetto equilibrio tra l'heavy rock a tratti ancora immaturo del comunque ottimo primo lavoro e le tinte più marcatamente heavy che poco si addicono ai Cirith Ungol di One Foot In Hell (1986), King of the Dead rappresenta una pietra miliare difficilmente paragonabile ad altri episodi all'interno dello stesso genere. Il sound unico dei Cirith Ungol raggiunge con questo album la propria consacrazione e prende forma magistralmente nelle 8 tracce che compongono il presente capolavoro, del quale difficilmente se ne può descrivere a parole la grandezza. Solo l'ascolto (obbligato) di brani come la title-track o la stupenda "Finger Of Scorn" possono rendere l'idea di quello cui ci si trova davanti parlando dei Cirith Ungol: rare le volte in cui come in queste canzoni il termine epic metal trova la sua miglior definizione. I riff trascinanti e a tratti di sabbathiana memoria di canzoni come "Atom Smasher" o "Death of the Sun" si alternano ai lenti e cadenzati accordi di "Master of the Pit" o "Cirith Ungol", veri e propri monumenti di epic-doom metal, impreziositi dall'incredibile e unica voce dell'ottimo Tim Baker, evocativa e teatrale ma al tempo stesso ruvida e graffiante, capace di muoversi su melodie e linee vocali assolutamente uniche e irriproducibili, maestosa interpretazione dei testi e della musica dei Cirith Ungol. I forti riferimenti all' "Elric di Melnibonè" di Michael Moorkock emergono dalle liriche di canzoni come "Master of The Pit" secondo tradizione della band, così come tradizionali sono le stupende copertine che caratterizzano ogni album firmato Cirtih Ungol, veri e propri capolavori artistici frutto della mano del grande Michael Whelan, protagonista delle quali è l'albino principe Elric accompagnato dal suo tortuoso destino. Le tematiche fantasy del romanzo in questione (più volte ripreso in ambito metal, si pensi solo al "campione eterno" dei nostri Domine) ben si sposano con la musica dei californiani che in "King of the Dead" riescono egregiamente ad interpretare gli aspetti più cupi ed epici del capolavoro letterario di Moorkock.
L'ascolto del disco in questione non può fare altro che rendere consapevole l'ascoltatore di avere a che fare con una delle più immense band che la storia del metal abbia mai conosciuto e la recente ristampa da parte della Metal Blade renderà voi il compito di questa piacevole scoperta ancora più facile...
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