Sono trascorsi tre anni dal precedente “
The endgame”, periodo in cui fortunatamente non sono mancate le occasioni per esaltarsi con i suoni scintillanti dell’
hard melodico, molto spesso provenienti dalle prolifiche
Terre del Nord.
Ciononostante, quando viene annunciato un nuovo disco dei
Treat, autentici luminari del settore, per il
melomane appassionato non è possibile nascondere una particolare forma di aspettativa e curiosità, impastata con un pizzico di “agitazione”.
Il rischio di una “delusione”, anche proprio a causa di pretese molto elevate, è sempre in agguato, ma mi sento di tranquillizzare tutti coloro che considerano i nostri svedesi una “garanzia”, prima e dopo la pausa di riflessione che li aveva tenuti lontani dalla scena di riferimento.
“
The wild card” è, infatti, un disco appassionante, che sembra quasi voler ristabilire le gerarchie, inviando ai gruppi emergenti un messaggio chiaro e inequivocabile: “
ragazzi, preoccupatevi, perché siamo tornati!”
Una suggestione personale, ovviamente, priva di dati oggettivi eppure supportata dall’impressione che un pezzo come “
1985” sia la “risposta” alle pregevoli velleità espressive dei Nestor, che con la loro “
1989” avevano infiammato di passione i nostri “nostalgici” cuoricini.
Fantasticherie a parte, “
Out with a bang” irrompe nell’apparato
cardio-uditivo con la forza dei Whitesnake “americani” e la capacità seduttiva dei …
Treat mentre “
Rodeo” sfida in fatto di adescamento immediato proprio tutte le nuove (e “seminuove” …)
sensation dello
scandirock melodico.
Di “
1985” qualcosa ho già detto e aggiungo che qui il ricordo di certe ambientazioni spensierate raggiunge davvero livelli di coinvolgimento assai elevati, gli stessi, tra l’altro, che “
Endeavour” e “
Heaven’s waiting” ottengono puntando stavolta su una forma di romanticismo avvolgente e vivace.
“
Hand on heart” è un altro
anthem elegante e pulsante, “
Mad honey” sfrutta l’antica formula dell’incedere incalzante ed esotico dell’
hard-rock in maniera piuttosto efficace e “
Adam & evil” solletica la radiofonia contemporanea con buongusto e misura.
“
Your majesty” mescola Beatles e Queen (e, per certi versi, potrebbe addirittura finire per esser apprezzato pure dagli estimatori del
brit-pop) e se “
Night brigade” espugna i sensi attraverso
chic-cose armonie crepuscolari, “
In the blink of an eye” è un buon
mix di spigliatezza, grinta e ruffianeria e “
One minute to breathe” si rivela un (ulteriore)
highlight dell’opera grazie ad un’incalzante e plagiante pressione melodica.
All’appello delle canzoni manca ancora la sfarzosa e contagiosa “
Back to the future”, isolata e lasciata alla fine della disamina non solo per il suo valore intrinseco, ma perché in qualche modo con il suo titolo riassume il ruolo dei
Treat nell’ambito del
rockrama odierno, e cioè quello di una
band al tempo stesso consapevole ed esuberante, radicata nella
Grande Storia del genere e capace di non finirne “fagocitata”, come invece accade a parecchi dei suoi tanti discepoli.