Correva l’anno 1986 quando il primo full lenght dei Candlemass, successore del demo Witchcraft del 1985, uscì per la francese Black Dragon: uno dei più importanti e fondamentali dischi di doom metal moderno fece il suo debutto col nome oramai leggendario di Epicus Doomicus Metallicus. La prima pietra per la costruzione dell’imponente edificio musicale della band svedese rappresenta anche la prima effettiva manifestazione di un certo sound, in seguito ripreso e consolidato, mutuato sia dall’hard rock dei Black Sabbath, sia dall’heavy della NWOBHM, in particolare dei gruppi più cupi ed espressivi, Angel Witch su tutti. Le potenzialità per creare un sound unico e senza precedenti c’erano tutte, e i risultati non si fecero certo aspettare: le 6 tracce di Epicus Doomicus Metallicus rappresentano uno dei maggiori punti di riferimento ed ispirazione per una folta schiera di doom metal band, e ancora oggi il nome dei Candlemass e del disco d’esordio suscitano un alone di leggenda e di motivato enorme rispetto.
Frutto della mente geniale del bassista Leif Edling, già in precedenza attivo con i suoi Nemesis, le composizioni di questo lavoro, tutte abbondantemente sopra i 5 minuti di durata, trasudano una pesantezza e una vena lirico espressiva più unica che rara, in grado di evocare nitide immagini di teatralità e sentimento. L’apertura acustica di “Solitude” ci introduce verso un mondo di passione e sofferenza, di epos e lirismo, di romanticismo e angoscia, reso vivo e tangibile dalle melodie create dalla chitarra e dalla voce di Johan Lanquist, per certi versi mai vicino al più noto successore Jan Alfredo Marcolin (aka Messiah Marcolin), ma quanto mai evocativo e declamatorio nelle proprie interpretazioni. Monumentale la successiva “Demon’s Gate”, a mio avviso uno dei migliori brani mai interpretati dai Candlemass, con i suoi 9 minuti di lenta agonia e continua palpitante attesa che culmina nelle inquietanti aperture del ritornello. Più “sostenute” le successive “Crystal Ball” e “Black Stone Wielder”, nelle quali la vena di ispirazione classicista non manca di farsi sentire per tornare a farsi malinconica in un altro grande classico quale “Under The Oak”. Il break acustico centrale di questo brano è a dir poco da brividi e si spinge fino a quegli altissimi standard ai quali la band ci abituerà in seguito per almeno altri 3 capolavori.
Chiude un altro gioiello quale “A Sorcerer’s Pledge”, un altro enfatico e sognante viaggio emozionale attraverso luoghi e atmosfere sconosciute. Alla prima parte acustica segue l’incalzante continuazione che porta nel corso di 8 minuti ad un lento evolversi nella parte quasi conclusiva dominata dalle tastiere ad organo fino all’uscita visionaria caratterizzata dal cantato femminile; una mini suite di grandezza immensa e bellezza indescrivibile.
Così si chiude Epicus Doomicus Metallicus, primo capolavoro di una band eccezionale che mai finirà di esercitare la propria influenza in ambito doom.
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