Prendete l’attitudine tipicamente festaiola dei Poison, uniteci l’impatto sonoro dei Mötley Crüe di “Dr. Feelgood”, impastate il tutto con un po’ di sana sfrontatezza dell’hard rock americano di quel periodo ed otterrete il sound di buona parte delle band che a cavallo dei decenni ’80 – ’90 tentavano di fare il botto nel mercato discografico.
I FireHouse, nati a Charlotte (North Carolina) dalle ceneri dei Maxx Warrior, non furono un’eccezione a questo schema, e il disco omonimo pubblicato sotto Epic nel 1990, ne è la conferma.
C.J. Snare (voce), Bill Leverty (chitarra), Perry Richardson (basso) e Michael Foster (batteria), all’interno del proprio debutto inserirono tutti gli elementi menzionati in precedenza, in modo particolare in brani come “Rock on the radio”, “Shake & tumble” e “Lover’s lane”, che fanno del tiro di batteria e/o chitarra (in particolare sui soli), il proprio punto di forza.
A ¾ del disco, il pezzo acustico “Seasons of change” ci porta momentaneamente su coordinate diverse da quelle fino a qui seguite, alle quali si ritorna con “Overnight sensation”, cui segue “Love of a lifetime”, immancabile ballata romantica che tenta di far breccia nei sentimenti più languidi del pubblico col suo arpeggio iniziale, la tonalità ammiccante della voce di Snare e la melodia dell’assolo che parte poco dopo metà pezzo.
Terminata la doverosa parentesi romantica, il quartetto torna a suonare tosto con “Helpless”, traccia che cala il sipario su un album perfettamente negli schemi del genere a cui fa riferimento, ma che ha il pregio di non essere un lavoro fra i tanti, presentandosi con la giusta dose di personalità che rende l’ascolto piacevole e spesso trascinante.
Promosso anche il produttore David Pater, che senza tirare fuori dal cilindro nulla di rivoluzionario si è dimostrato un ottimo allievo della scuola Bob Rock.
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