Rebellion - Shakespeare's Macbeth: A Tragedy In Steel

Copertina 5,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2002
Durata:73 min.
Etichetta:GUN
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. INTRODUCTION
  2. DISDAINING FORTUNE
  3. THE PROPHECY
  4. HUSBANDRY IN HEAVEN
  5. THE DEAD ARISE
  6. EVIL SPEAKS
  7. LETTERS OF BLOOD
  8. REVENGE
  9. CLAWS OF MADNESS
  10. DEMONS RISING
  11. DIE WITH HARNESS ON YOUR BACK

Line up

  • Tomi Göttlich: bass
  • Michael Seifert: vocals
  • Uwe Lulis: guitars
  • Björn Eilen: guitars
  • Randy Black: drums

Voto medio utenti

Di nuovo insieme all'interno della stessa band, gli ex-Grave Digger, Uwe Lulis e Tomi Gottlich ci riprovano con questa nuova creazione dal nome significativo di Rebellion. E lo fanno in grande stile proponendo un'intero concept album basato su una delle più famose tragedie shakespeariane, il Macbeth. La vicenda di quest'ultimo e della sua spietata ambizione ad occupare il trono di Scozia, segnata col sangue da numerosi delitti e fatali intrighi, ben si sposa con l'idea di una rilettura in chiave metal, come avviene nelle 11 tracce dell'album d'esordio della band.
Idea interessante, anche se non originalissima (2 anni fa ci provarono con dubbi risultati anche i Jag Panzer, con l'album "Thane To The Throne"), ma soprattutto ambiziosa: riuscire nello spazio di un cd a ripercorrere la magia e la maestosità della tragedia del genio inglese è sicuramente cosa non facile e dagli incerti esiti.
Liricamente il lavoro svolto è certamente notevole e una buona sintesi è offerta dagli immediati test, interpretati non solo dal singer Michael Seifert ma anche da numerosi ospiti chiamati a dar voce, con numerosi intermezzi recitati tra un brano e l'altro, ai vari personaggi che compaiono nella tragedia.
Musicalmente non si può non paragonare il sound dei Rebellion con quello dei Grave Digger di "Tunes Of War" o "Knights Of The Cross": granitici ed essenziali riff di chitarra appoggiati su una base quadrata ed incisiva, in
prevalenza cadenzata e marziale, ma con anche alcune aperture più speed, come nell'ultima parte della lunghissima (più di 13 minuti) "Husbandry In Heaven". Poca originalità ma molta immediatezza e incisività rendono i brani molto orecchiabili e ne facilitano l'assimilazione fin dal primo ascolto, anche se quel senso di "già sentito" vieno spesso a galla e l'accostamento ai Grave Digger viene spontaneo. Il grosso del lavoro è fatto dall'ottima prestazione del singer Michael Seifert, capace di alternare caparbiamente parti quasi strillate ad altre più profonde ed espressive, molto (forse troppo) spesso aiutato da poderosi cori negli epici e grandiosi refrain, come in "Disdaining Fortune" o "Claws Of Madness".
In sostanza, messi assieme tutti questi elementi, il risultato è gradevole e ben ascoltabile, ma poco di più.
Le numerose interruzioni recitate e i rallentamementi molto frequenti all'interno della struttura di quasi ogni brano non giovano affatto all'omogeneità e alla compattezza del lavoro che finisce alla lunga con lo stancare. Indicativa è la media durata dei brani (siamo attorno ai 7 minuti e mezzo) i quali troppo spesso
si risolvono in continue ripetizioni e inesauribili ritornelli. Spogliate di tutto questo le idee di fondo sono buone e mostrano molti aspetti positivi della band, purtroppo offuscati e appesantiti da quanto detto in precedenza.
Recensione a cura di Marco 'Mark' Negonda

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