Greystone Canyon - Something Borrowed … Something New

Copertina 7

Info

Anno di uscita:2025
Durata:33 min.
Etichetta:Rockshots Records

Tracklist

  1. DOCTOR, DOCTOR
  2. JUST GOT PAID
  3. DRIVES US
  4. IMMIGRANT SONG
  5. FRIEND OF THE FOX
  6. SUICIDE
  7. HEY, HEY, MY, MY (INTO THE BLACK)
  8. AAF
  9. STEALING OUR FREEDOM

Line up

  • Darren Cherry: vocals, guitars
  • Richard Vella: guitars, vocals, keyboards
  • Sham Hughes: drums, keyboards
  • David Poulter: bass

Voto medio utenti

La notizia è degna di una rivista / programma di gossip … i Greystone Canyon si sposano!
Almeno così sembrerebbe dal titolo del loro album che riprende parte dell’antico detto “Something old, something new, something borrowed, something blue. And a silver sixpence in your shoe” che secondo la tradizione dovrebbe garantire fortuna, prosperità e felicità alla coppia.
Facezie a parte, in realtà, la questione è relativa al fatto che “Something borrowed … something new” contiene cinque cover, tre brani nuovi e una “rumorosa” variazione dell’inno nazionale australiano.
Siamo di fronte ad un disco “interlocutorio”, realizzato verosimilmente con l’intento di non perdere contatto per troppo tempo con i propri fans, ma sono anche convinto che la band si sia davvero divertita nel riproporre, innanzi tutto e come vedremo con risultati un po’ alterni, alcuni dei suoi “classici” preferiti, prelevandoli direttamente dalla storia del rock.
Apprendere che l'albo è stato registrato in diretta, senza modifiche o trucchi digitali, conferma la sensazione di “autenticità” che traspare durante l’ascolto dell’opera, e alla fine poco importa se "Immigrant song” risulta un po’ troppo “scolastica” e, fatalmente, priva del fascino eroico e sensuale che Plant sapeva imprimere al pezzo con il suo iconico cantato, e "Doctor, doctor” (degli UFO, ma spero e credo sia superfluo ricordarlo …), sebbene ben riprodotta, appare anch’essa leggermente “fredda” e didascalica.
Andiamo decisamente meglio con "Just got paid” (un vibrante hard-blues targato ZZ Top che gli aussie interpretano con la dovuta tensione espressiva), con "Suicide” (che omaggia in maniera convincente gli immortali Thin Lizzy … con un Darren Cherry, benignamente “posseduto” dallo spirito di Phil Lynott) e pure con "Hey, hey, my, my (into the black)” di Neil Young, resa più simile alla sua controparte acustica “My my, hey hey (out of the blue)” e interpretata in una maniera che piacerebbe anche a Eddie Vedder.
E la citazione del cantante nato Edward Louis Severson III non è né casuale e né accessoria, dal momento che “Drives us”, passando agli inediti, è un brano dai contorni “epici” e folkie non troppo lontani proprio da certe cose dei Pearl Jam, mentre con “Friend of the fox” i nostri danno libero sfogo a tutte le loro velleità visionarie e “sudiste” attraverso una partitura strumentale ondeggiante e avvolgente.
Dopo il breve omaggio alla patria natia “AAF” (“Advance Australia Fair” … di vaga ispirazione Hendrix-iana), tocca alla ribelle “Stealing our freedom” chiudere la scaletta di “Something borrowed … something new” dimostrando ancora una volta che la fusione tra heavy metal e southern è possibile e proficua, quando è trattata da formazioni versatili e preparate come i Greystone Canyon.
Un “matrimonio” dunque, ritornando (ostinatamente) alle suggestioni iniziali, con cui la band abbraccia le imperiture filosofie del Grande Vecchio della musica popolare, rinnovando la promessa che il “Rock and roll can never die” (cfr. la succitata “My my, hey hey”), celebrando il suo glorioso e leggendario passato e gettando un solido e rigoglioso ponte con il presente e il futuro del genere.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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