La notizia è degna di una rivista / programma di
gossip … i
Greystone Canyon si sposano!
Almeno così sembrerebbe dal titolo del loro
album che riprende parte dell’antico detto “
Something old, something new, something borrowed, something blue. And a silver sixpence in your shoe” che secondo la tradizione dovrebbe garantire fortuna, prosperità e felicità alla coppia.
Facezie a parte, in realtà, la questione è relativa al fatto che “
Something borrowed … something new” contiene cinque
cover, tre brani nuovi e una “rumorosa” variazione dell’inno nazionale australiano.
Siamo di fronte ad un disco “interlocutorio”, realizzato verosimilmente con l’intento di non perdere contatto per troppo tempo con i propri
fans, ma sono anche convinto che la
band si sia davvero divertita nel riproporre, innanzi tutto e come vedremo con risultati un po’ alterni, alcuni dei suoi “classici” preferiti, prelevandoli direttamente dalla storia del
rock.
Apprendere che l'albo è stato registrato in diretta, senza modifiche o trucchi digitali, conferma la sensazione di “autenticità” che traspare durante l’ascolto dell’opera, e alla fine poco importa se "
Immigrant song” risulta un po’ troppo “scolastica” e, fatalmente, priva del fascino eroico e sensuale che
Plant sapeva imprimere al pezzo con il suo iconico cantato, e "
Doctor, doctor” (degli UFO, ma spero e credo sia superfluo ricordarlo …), sebbene ben riprodotta, appare anch’essa leggermente “fredda” e didascalica.
Andiamo decisamente meglio con "
Just got paid” (un vibrante
hard-blues targato ZZ Top che gli
aussie interpretano con la dovuta tensione espressiva), con "
Suicide” (che omaggia in maniera convincente gli immortali Thin Lizzy … con un
Darren Cherry, benignamente “posseduto” dallo spirito di
Phil Lynott) e pure con "
Hey, hey, my, my (into the black)” di
Neil Young, resa più simile alla sua controparte acustica “
My my, hey hey (out of the blue)” e interpretata in una maniera che piacerebbe anche a
Eddie Vedder.
E la citazione del cantante nato
Edward Louis Severson III non è né casuale e né accessoria, dal momento che “
Drives us”, passando agli inediti, è un brano dai contorni “epici” e
folkie non troppo lontani proprio da certe cose dei Pearl Jam, mentre con “
Friend of the fox” i nostri danno libero sfogo a tutte le loro velleità visionarie e “sudiste” attraverso una partitura strumentale ondeggiante e avvolgente.
Dopo il breve omaggio alla patria natia “
AAF” (“
Advance Australia Fair” … di vaga ispirazione
Hendrix-iana), tocca alla ribelle “
Stealing our freedom” chiudere la scaletta di “
Something borrowed … something new” dimostrando ancora una volta che la fusione tra
heavy metal e
southern è possibile e proficua, quando è trattata da formazioni versatili e preparate come i
Greystone Canyon.
Un “matrimonio” dunque, ritornando (ostinatamente) alle suggestioni iniziali, con cui la
band abbraccia le imperiture filosofie del
Grande Vecchio della musica popolare, rinnovando la promessa che il “
Rock and roll can never die” (
cfr. la succitata “
My my, hey hey”), celebrando il suo glorioso e leggendario passato e gettando un solido e rigoglioso ponte con il presente e il futuro del genere.