La prova del nove in campo musicale potrebbe tranquillamente essere chiamata “la prova del tre”: il fatidico terzo disco che più o meno saggia le velleità e le capacità artistiche di qualsiasi giovane gruppo, ormai divenuto una ex-promessa e chiamato a compiere il grande salto. I parigini Heavenly, ex gruppo prodigio preso dalla Noise a furor di popolo per aver vinto un contest indetto su Internet per il gruppo unsigned più meritevole (alla stregua dei Dragonforce), giungono così alla loro terza avventura per l’etichetta berlinese recentemente acquisita dai denari della Sanctuary.
“Dust to Dust”, questo il titolo scelto dagli Heavenly, si presenta dunque sul mercato con la precisa volontà di far emergere definitivamente il combo transalpino dal proprio status per lanciarlo nel metal che conta: ed ecco quindi una promozione massiccia per un disco indubbiamente più pretenzioso e costruito del precedente, ricco di orchestrazioni, cori maestosi, suite da nove minuti ed una complessiva sensazione di opera magna, anche grazie alla divisione in tre sostanziosi capitoli, di fronte alla quale non si rimane indifferenti.
Grazie a Dio (è il caso di tirarlo in ballo visto il monicker dei nostri…) in tutto questo amba aradam gli Heavenly non si sono dimenticati di essere un gruppo metal, come sovente capitato ultimamente ai Blind Guardian, e non hanno lasciato che la troppa carne al fuoco lasciasse bruciare il risultato finale, tanto fumo ma poco arrosto.
Sin dall’iniziale “Evil” si capisce che gli Heavenly hanno operato molto e bene, pezzi aggressivi con deliziose melodie, rallentamenti pianistici seguiti da break cadenzati, cori ben realizzati e soprattutto la divina (perlomeno in studio) voce di Ben Scotto che non è quel clone di Michael Kiske come pubblicizzava un paio di anni fa la Noise ma che dimostra un’ottima estensione e una flessibilità estrema tra toni alti e medi, nonché una timbrica perfetta per l’happy power metal degli Heavenly. Per la gioia dei fans della prima ora, è stata addirittura ripescata quella “Miracle” che appariva sul demo “Coming From the Sky” che gli valse il contratto per Noise, e la versione del 2004 è stata curata in modo davvero clamoroso che si segnala insieme a “Lust for Life” come una delle migliori del disco.
Soprattutto nella prima metà del disco non riscontriamo alcun passo falso, ogni brano è migliore del precedente fino a giungere al sopraccitato picco qualitativo di “Miracle”, poi nel terzo capitolo si scende un po’ di tono (ma senza esagerare) anche per l’eccessiva durata del platter che misura ben 71 minuti, decisamente troppi per un gruppo ancora giovane come quello di Max Pilo.
In definitiva un’opera indubbiamente coraggiosa ma anche ottimamente riuscita che, almeno a livello di critica, serve a lanciare ancora più in alto il nome della band parigina, anche se la ciliegina sulla torta sarebbe stata la presenza di un paio di brani scevri di elementi sinfonici e diretti al “celestial metal” di “The Angel” e “World Will be Better”, brani presenti sul precedente “Sign of the Winner”. Adesso il responso del pubblico e le esibizione live, da sempre tallone d’achille del gruppo, dovranno fare il resto.
Insomma, tra band che si perdono un po’ per strada (Morifade e Zonata), big che decidono di autoterminarsi (Nocturnal Rites) ed altri che rinnegano un po’ troppo il passato fatto di velocità (Sonata Arctica) non possiamo che rifugiarci con sicurezza e ricerca di calore nella gloria e la maestosità divina degli Heavenly. God Bless You!
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