Sovente gli Sweet vengono accomunati a formazioni quali Status Quo o Slade come classico esempio dell’ondata pop-rock commerciale anni ’70, filone che conobbe una breve ma intensa popolarità in alternativa al più duro e rumoroso hard rock di Purple, Zeppelin, Grand Funk e compagnia.
Canzoni estremamente leggere e spensierate, altrettanto orecchiabili e ballabili, che destarono l’interesse degli adolescenti neanche minimamente sfiorati dall’impegno politico o dalla passione per la musica più strutturata, in sostanza quelli preoccupati soltanto di ben figurare ai party liceali.
Spesso questo stile viene anche definito “rock bubble-gum”, che sta ad indicare una serie di brani ritmati, allegri, un po’insulsi, costruiti intorno a ritornelli-tormentone e con piccolissimi accenni di elettricità rock.
Durante la prima metà dei settanta gli Sweet, grazie anche ad un furbesco look sbrilluccicante e proto-glam, inanellarono numerosi hits bubble-gum. Titoli come “Funny funny”,”Co-co”,”Wig wam bam”,”Poppa joe”, rendono chiaramente l’idea di quanto fossero scacciapensieri ed assai frivole quel tipo di canzoni. Ma la band nel frattempo coltivava con cura anche una vena più marcatamente hard e nel 1974 si verifica una decisa svolta in questo senso con la pubblicazione dell’album “Sweet fanny Adams”. Si tratta del primo lavoro integralmente opera del gruppo, senza il contributo dei parolieri Chinn e Chapman, la coppia artefice dell’indirizzo pop iniziale.
Per un quinquennio gli Sweet continueranno a realizzare buoni lavori di hard melodico, irrobustendo le parti strumentali ed aggiungendo gradualmente elementi pomp-rock in netto anticipo sui tempi.
Questa in sintesi la parte di storia degli Sweet che ci interessa, visto che il presente tributo prende in considerazione proprio la seconda fase dei ’70 grazie alla passione di Christian Rivel, il quale oltre ad essere il vocalist di Narnia ed Audiovision è anche il proprietario dell’etichetta per la quale esce il disco.
Il cantante ha coinvolto un buon numero di formazioni Svedesi, alcune note altre meno, altre ancora create per l’occasione reclutando anche personaggi di caratura internazionale come Jeff Scott Soto, Bruce Kulick, Mats Leven, ottenendo infine anche l’approvazione soddisfatta di Steve Priest, membro fondatore degli Sweet, che si è detto lusingato ed onorato da questa iniziativa.
I brani sono riprodotti fedelmente, con una spruzzata di aggressività moderna che li rende forse ancor più interessanti degli originali stessi per lo smaliziato pubblico rock contemporaneo. Riemergono dalla notte dei tempi inossidabili gemme anthemiche quali “Love is like oxygen”, che fu successo mondiale,”Action”,”Into the night”, ed ancora le grintose “Burn on the flame” e “Cockroach” che magari i più maturi cultori del genere avranno cantato a squarciagola innumerevoli volte in tempi lontani.
Resta invece come sempre invariato l’interrogativo sull’utilità di tali iniziative all’interno di un mercato inflazionato, considerando anche che gli Sweet con tutto il bene che si può dire di loro, non hanno certo scritto capitoli fondamentali della storia del rock. Ancora una volta l’impressione è quella di un progetto utile a soddisfare i gusti ed a rivivere le passioni giovanili di chi lo ha messo in piedi. Un disco ben fatto, ma di importanza molto relativa.
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