E’ ormai dal lontano 1982-83 che gli Honeymoon Suite diffondono dal nativo Canada il loro pregiato e sofisticato A.O.R., un genere musicale che al di fuori del continente americano ha difficilmente (purtroppo) attecchito in maniera rilevante ed avuto la meritevole risonanza.
Malgrado le difficoltà di “espatrio” (in Europa i loro dischi sono stati per parecchio tempo reperibili solo d’importazione), i Canucks, grazie a cinque albums in studio, un live, un “Best of” e parecchi hits (divenuti tali anche grazie a film come “Lethal Weapon” o alla famosa serie TV “Miami Vice”), non si possono comunque lamentare, essendo stati gratificati da numerosi riconoscimenti, tours in compagnia di grandi nomi del rock internazionale (Heart, Journey, ZZ Top, Bryan Adams, Saga, Status Quo, Aerosmith, Jethro Tull, Night Ranger …) e da più di un milione di copie dei propri lavori venduti in tutto il mondo.
L’esibizione immortalata in questo DVD (ma disponibile anche in versione Cd) è nuovamente catturata durante il famigerato Gods Festival di Bradford in Inghilterra, del giugno 2002, una vera e propria vena aurifera per il mercato video-discografico, visto che dalla stessa manifestazione sono già state tratte pubblicazioni di Jeff Scott Soto, Harem Scarem e Hardline.
Il DVD è caratterizzato da belle immagini e limpida resa sonora, ma appare abbastanza essenziale (nessuna special features), così come lo show stesso offerto dalla band, che punta molto di più sulla qualità delle canzoni che non su particolari concessioni scenografiche, privilegiando gli esordi del combo (con ben otto tracce su quattordici estrapolate dai primi due dischi) e sciorinando uno dopo l’altro quasi tutti i loro classici.
Nonostante ciò il pubblico non sembra molto partecipe e assiste allo spettacolo in maniera molto tranquilla, in apparente contemplazione dei talentuosi canadesi.
Non che il genere proposto, per caratteristiche peculiari, sia uno di quelli che possa condurre a coinvolgimenti totalizzanti e non si può neanche affermare che i musicisti siano portati ad atteggiamenti particolarmente istrionici, per tipologia musicale ed indole generale, ma, in effetti, l’audience ha un atteggiamento fin troppo impassibile, rispondendo con un minimo d’entusiasmo solo alle sollecitazioni del singer Johnnie Dee e dando qualche segno di vita unicamente durante l’esecuzione dei brani di maggior richiamo commerciale (“What does it take”, per esempio).
Johnnie e il suo "socio” chitarrista Derry Grehan (i due hanno collaborato anche in “Songs in Dee” edito nel 2003 come album solista del vocalist, usando il suo vero nome, Johnnie Degiuli), che da oltre vent’anni (grazie ad un contratto discografico ottenuto tramite il concorso radiofonico di un’emittente di Toronto) distribuiscono le loro melodie accattivanti, sono i veri protagonisti del dischetto, coadiuvati, in ogni caso, dall’assoluta eccellenza dei nuovi membri: il bravissimo tastierista Peter Nunn (Alannah Myles, Gowan, Brighton Rock), autore di una prova importante, sia durante il suo personale “momento di gloria” dell’assolo di pianoforte, sia (e soprattutto) nei suoi preziosi interventi in tutti gli altri brani, così importanti per la caratterizzazione del suono degli Honeymoon; il preciso bass player Rob Laidlaw (Lee Aaron, Rik Emmett) e il vigoroso drummer Brett Carrigan, anche simpatico con la sua bandana e la t-shirt “scheletrica”.
Tornando a Dee, si deve parlare di un ottimo cantante (che all’occorrenza imbraccia anche la sei corde elettrica) dalla timbrica cristallina, unita a preparazione tecnica e feeling rilevanti.
Le ultime due doti menzionate, sono prerogativa anche del guitar player Grehan, sopraffino nei solos e capace di conferire il giusto apporto energetico alle sonorità levigate, componendo il tipico trademark del gruppo (e dei connotati stilistici ai quali esso si attiene).
“Stay in the light”, “Burning in love” (magnifica), ”Feel it again”, la favolosa “All along you knew”, con il suggestivo contributo del kurzweil che “imita” il suono del flauto (nella versione in studio contenuta in “The big prize”, questa parte era suonata nientemeno che dal guest Ian Anderson) e “Bad attitude”, sono gli “inevitabili” highlights del disco, mentre “Touch the sun” è ancora da segnalare per essere tratta da “Lemon tongue”, licenziato esclusivamente per il mercato interno del “Paese della foglia d'acero”.
Un plauso doveroso alla Frontiers per la sua opera di “divulgazione” del rock melodico e per aver scommesso su questa buonissima compagine (ricordiamo che anche “Dreamland” del 2002, con la riproposizione di parecchie tracce del già citato “Lemon tongue”, è uscito per la stessa label).
Per i fans del gruppo, il consiglio è quello di preferire questo “HMS Live” nella sua versione in DVD, vista la track-list non troppo dissimile dall’altro platter dal vivo “13 Live” (ma sono sicuro che questo non scoraggerà quelli di loro più “completisti”), mentre entrambe le edizioni possono essere un buon acquisto per quanti vogliano accostarsi per la prima volta ai suoni raffinati, sulla scia dei grandi del genere (Boston, Loverboy, Journey, Survivor, Night Ranger …), messi a disposizione dalla “Suite Luna Di Miele”.