Ennesimo tributo per quella che molti, me compreso, considerano la più influente band nella storia del rock duro: i Black Sabbath.
Questa volta l’antologia non contempla contributi dal mondo heavy, si tratta invece di un progetto sperimentale fortemente voluto dall’etichetta Temporary Residence che ci ha lavorato sopra per la bellezza di otto anni, essendo l’idea nata nel lontano ’97.
Siccome la raccolta riguarda il periodo iniziale ed ormai leggendario della straordinaria carriera dei britannici, è utile raccomandare ai fans più tradizionalisti di Ozzy e soci la massima cautela nell’avvicinarsi a questo disco. Infatti la materia in oggetto è stata completamente stravolta, manipolata, in alcuni casi perfino destrutturata e modificata alla radice, nell’intenzione palese di dimostrare l’eccezionale adattabilità di tali storiche canzoni in contesti lontanissimi dall’hard rock o dall’heavy metal.
Se alcune versioni restano abbastanza fedeli agli originali o perlomeno mostrano aspetti convenzionali, vedi la “Fairies wear boots” di Newman o l’interpretazione dolcissima e struggente di “Planet caravan”, vera cult-track per chi ama i Sabs degli esordi, molte altre viaggiano in direzione diametralmente opposta entrando in territori inaspettati, soprattutto elettronici e noise, arrivando a toccare vertici di notevole bizzarria. Citandone solo alcune: la metamorfosi country-bluegrass di “Changes” opera del Curtis Harvey Trio, una electro-tossica “Sweet leaf” della coppia Greenness-Philly G. o ancora il provocatorio puzzle elettronico proposto dai giapponesi Ruins, i quali non fanno altro che incolonnare i più famosi riffs del quartetto di Birmingham compattandoli in un solo brano, una sorta di bignami Sabbathiano.
Certo si tratta di esercizi di stile estemporanei ed un po’fini a se stessi, ma rispetto ai tanti tributi identici dall’ideazione scontata e prevedibile questo vanta almeno il pregio di azzardare qualcosa di originale, infilandoci dentro un pizzico di follia.
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