Ero ancora un metallaretto da 4 soldi (non che ora non lo sia n.d.a.), entrai in un negozio di dischi della mia città e mi cascò l’occhio sulla splendida copertina di un certo “Slowly we rot”, pensai che se quel cd, di una band chiamata Obituary all’epoca per me sconosciuta, fosse stato marcio e violento come la copertina e il nome stesso, avrei dovuto comprarlo.
Da quel giorno fu amore a prima vista e mai avrei pensato di ritrovarmi qua a scrivere la recensione (grazie Graz) del loro “grande ritorno” dopo ben 8 anni di inattività discografica
Dunque, “Frozen in Time” credo sia il giusto titolo per l’album, come suonato e progettato anni fa per essere messo in freezer e gustato e assaporato anni dopo; se volete qualcosa di nuovo dagli Obituary, infatti, non sprecate il vostro denaro per l’acquisto, non aspettatevi, per fortuna, qualcosa di diverso dai 5 precedenti stupendi capitoli, in primis “World Demise” e “Back from the Dead”, causa evoluzioni o involuzioni della band dovute a collaborazioni varie o influenze post nu-metal come spesso purtroppo avviene negli States, oppure cambi di stile dettati direttamente dalla band stessa.
Gli Obies sono rimasti, grazie a Dio (e qui lo ringrazio veramente n.d.a.), la stessa macchina di distruzione che ha sparso devastazione, dolore, sofferenza e rabbia con il loro sound.
Che dire a proposito dei cinque di Tampa, John Tardy ha la stessa maledetta cattiveria che aveva agli esordi, la voce è inalterata a distanza di tutti questi anni, violento come sempre, a mio giudizio il “Frank Sinatra” del Growl, Trevor Perez cresce di potenza assieme alla sua barba e insieme ad Allen West ripropongono le magnifiche chitarre “Death” di sempre, senza perdere un colpo, ritmiche imperiose, anche se mai troppo veloci, Donald Tardy non sembra affatto intaccato da collaborazioni del calibro di Andrew W.K., continua a picchiare sulle pelli alla grande, e Frank Watkins ha la solita grinta che l’ha accompagnato in tutti questi anni.
Da “Redneck Stomp”, intro dell’album, a “Lockjaw” potrete verificare quanto detto, 10 pezzi stupendi, suonati benissimo con una gran produzione, “On the floor”, “Insane” già pubblicizzata con il tour, single scaricabile direttamente dal loro sito, “Back Inside” e “Stand Alone” sono brani all’altezza dei vecchi capolavori.
Per chi volesse saperlo, dato che la mia voglia di sottolinearlo è tanta visto che tutto ciò è stupendo, una volta imparati a mente i dieci 10 pezzi, gli Obies, hanno “richiamato alle armi” niente meno che Scott Burns, da lui si sono fatti accompagnare ai mitici Morrisound Studios per registrare la maggior parte dell’album concludendo l’opera ai Pro Tools Studios con Mark Prator.
Non è necessario dilungarsi troppo, credo di avervi fatto capire che gli Obituary sono quelli di sempre, per filo e per segno, per chiunque ami il caro vecchio Death Metal di una volta, di matrice statunitense, un Buy or Die!
Grazie ragazzi, altri 100 di questi album!
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