Quando nell’ormai lontano 2002 mi capitò di recensire il secondo album di un gruppo quasi del tutto sconosciuto, tranne che ai più attenti e malati conoscitori del death metal europeo, capii subito che i Mercenary, nonostante un’etichetta tutt’altro che potente ed una promozione davvero blanda, possedevano le carte per sfondare.
La classe non è acqua (non la mia, eh!) ed infatti grazie a quel capolavoro di nome “Everblack”, la band danese si è guadagnata prima i favori del pubblico e poi della Century Media che ha pubblicato “11 Dreams” esattamente due anni fa, un disco valido ma non convincente come il suo predecessore.
Puntuale come una bolletta, a fine agosto 2006 arriva il nuovo “The Hours That Remain” e subito ci si accorge che siamo di fronte a qualcosa di più, più bello, più cattivo, più convincente e soprattutto più continuo, difetto che era possibile riscontrare fino al lavoro scorso.
A dire la verità, la band di Mikkel Sandager ha leggermente esagerato nella continuità, nel senso che i Mercenary hanno trovato una formula e, tranne rari casi, la ripropongono per tutta la durata dell’album: tutti i brani sono pressappoco uguali, melodici ma potenti, alternanza di voce sporca (a proposito, il vecchio bassista cantante Kral non c’è più, sostituito dal buon Renè Pedersen) a quella pulita, bei ritornelli, pochi assoli, il tutto davvero esaltato da una perfezione PERFETTA ottenuta da quel genio di Jacob Hansen che riesce davvero a tramutare in oro sonico tutto quello che tocca.
“The Hours That Remain” è un disco di pseudo death/thrash melodico che si lascia ascoltare davvero volentieri, che ti accompagna presente ma discreto lungo tutto l’ascolto, tanto che alla fine viene da esclamare “ma come, è già finito?” e si rimette su daccapo, tornandolo ad ascoltare quasi soprappensiero, in sottofondo, ma con un livello di godibilità sempre alle stelle.
Insomma, un disco davvero stupendo, dove basta l’ascolto iniziale di “Lost Reality” per capire di che pasta siano fatti questi danesi e che va sicuramente nella Top Ten di fine anno, ascolto super consigliato per tutti gli amanti della buona musica.
Da segnalare una versione limited del cd con allegato un DVD di un paio d’ore con il making of dell’album (e sai che palle?) e la presenza qua e là di guest vocalist di nome, come Bjorn Strid dei Soilwork e Marcus degli Heaven Shall Burn. Da censura invece la ghost track finale (di pochi secondi per fortuna) e le note biografiche della Century Media che associa il nome dei Mercenary a bands come Opeth e Nevermore. Grazie a Dio, sbagliando in pieno.
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