Come suggerisce il titolo stesso, "Ritual 6" è la sesta fatica in studio per questa band sudafricana che suona una metal difficile da catalogare: se la voce è palesemente di stampo death, lo stesso non si può dire della musica, in bilico tra un death riconducibile agli ultimi lavori dei Sepultura, inserti tastieristici power e chitarre che alternano bicordi tenuti molto a lungo ad assoli melodici.
Stando a questa descrizione, gli Agro si presenterebbero quindi come un singolare quanto interessante incontro di più generi musicali. In realtà la proposta musicale di questi cinque sudafricani soffre di una eterogeneità forzata, una sorta di cocktail che finisce però per essere insipido raccogliendo al suo interno troppe influenze che non vengono amalgamate tra di loro in maniera convincente. Il disco, con somma gioia di The Shaman, viene aperto da un intro sinfonico-tribale piuttosto carina, che miscela percussioni e tastiera con chitarre pesanti. La prima traccia vera e propria del disco, "Carpe Diem", racchiude tutte le caratteristiche di "Ritual 6", ossia chitarre che puntano molto sulla robustezza e rotondità del suono, prediligendo ritmiche quadrate, semplici, con bicordi aperti e tenuti a lungo. Sullo sfondo le tastiere danno un tocco atmosferico alle composizioni, mentre la voce di Cliff Crabb si prodiga nel tenativo di dare ai pezzi un appeal maggiormente aggressivo, senza però riuscirci. Il grande difetto di questo disco sta nelle poche, o meglio, nelle assenti variazioni sul tema, riproposto pedissequamente in tutte le undici tracce di "Agro 6", un difetto che influisce in maniera decisa e netta sull'ascolto e sulla qualità dell'album. Aggiunciamoci il fatto che la formula adottata dagli Agro non sia granchè in sè, ne risulta che la loro ultima fatica sia per l'appunto una fatica per chi ascolta: canzoni fiacche, tecnicamente ineccepibili ma che non contengono quel qualcosa che le faccia decollare. Dovendo descrivere graficamente "Ritual 6" una linea retta sarebbe adatta: il disco scorre monotono senza regalare emozioni o sussulti, in sostanza 55 minuti di noia.
La produzione invece è buona, con il suono delle chitarre bene in primo piano, con un suono rotondo e caldo soprattutto nei toni bassi, mentre i volumi dei vari strumenti sono ben calibrati e proporzionati, soprattutto le tastiere non sono invasive e lasciate sullo sfondo per creare sfumature nei pezzi.
Insomma, gli Agro si sono dannati l'anima per cercare un suono il meno etichettabile e eterogeneo possibile. Peccato però che manchino della necessaria creatività per comporre pezzi di un certo livello, in grado di assorbire in maniera più organica e logica le varie influenze musicali del quintetto. Probabilmente converrebbe loro abbassare il target, puntare su qualcosa di più diretto, magari meno originale ma sicuramente meno impegnativo per loro e per chi li ascolta.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?