Copertina 7

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2006
Durata:60 min.
Etichetta:SPV
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. ETHNOLUTION A.D.
  2. DAY AND A LIFETIME
  3. RIVER OF PAIN
  4. AIN’T THE ONE
  5. NEW HORIZON
  6. WITH SPARROWS
  7. BETTER MORNING

Line up

  • Klaus Dirks: vocals
  • Sascha Onnen: keyboards
  • Markus Brinkmann: bass
  • Sven Ludke: guitars
  • Arved Mannott: drums
  • Matthias Mineur: guitars

Voto medio utenti

Dopo quattro dischi interessanti ma decisamente nella norma, i powermetallers Mob Rules provano a fare il grande salto. “Ethnolution A.D.” si presenta ambizioso sin dalla copertina, e potrà apparire ironico che la torre di Babele che troneggia sullo sfondo rosso fuoco dell’artwork, oltre ad illustrare l’impegnativo concept (basato sul problema della coesistenza dei differenti gruppi etnici e culturali sul nostro pianeta), possa simboleggiare il tentativo della band di dare la scalata al firmamento del metal classico.
Si sa, i costruttori di tale opera non fecero una bella fine, ed è allora abbastanza triste constatare come gli stessi Mob Rules non siano stati da meno. Dischetto interessante, per carità, ma se volevano fare il botto avrebbero dovuto applicarsi di più. Si inizia con la lunghissima title track, che dovrebbe essere una suite divisa in sei parti, per un totale di 25 minuti abbondanti di musica, ma che risulta essere in realtà costituita da cinque brani indipendenti più intro. Rispetto a quanto sentito in precedenza, è qui evidente il tentativo di distaccarsi maggiormente dalle cavalcate speed di album come “Among the Gods” o “Hollowed be thy name”: a farla da padrone sono qui ritmiche serrate e potenti, con una componente epica e sinfonica piuttosto marcata soprattutto nei ritornelli. I punti di riferimento principali sembrano essere soprattutto Kamelot, Savatage ed Edguy, bands che nel corso della loro storia hanno saputo infondere nuova linfa ad un genere stantio come il classic power, a contaminarlo con nuove sonorità e a donargli una profondità del tutto impensabile in precedenza.
A ben vedere, la band di Klaus Dirks (che tra parentesi, dimostra una volta di più la sua mediocrità di singer) vorrebbe provare a fare lo stesso ma, come detto in precedenza, le cose non funzionano a dovere. Ci sono episodi interessanti e abbastanza coinvolgenti (“The last farewell”, “River of pain”, “Better morning”) ma in generale l’aria che si respira è quella del deja vu, e la noia subentra abbastanza presto.
Per carità, i fans della band non avranno assolutamente nulla di che lamentarsi, e anche chi in generale ama questo tipo di sonorità troverà pane per i suoi denti…
Resta da dire che con tutto il battage pubblicitario di cui questo disco è stato investito mi ero davvero illuso di poter scrivere una recensione di tutt’altro tipo… peccato, sarà per la prossima volta…
Recensione a cura di Luca Franceschini

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