Sarebbe dovuto essere un lavoro a sé stante ed invece è diventato parte di quella che era nata come una trilogia: “Gothic Kabbalah”, nuova release degli svedesi Therion, si trasforma in parte integrante di un progetto nato con “Lemuria/SiriusB” e che terminerà (ma chi può dirlo) con il loro prossimo album.
“Gothic Kabbalah” si inserisce sgomitando in questa odissea che dura ormai da quattro anni, accomodandosi su di uno scranno che forse non le spetta di diritto.
Il mordente di album quali “Theli” e “Vovin” lascia il posto a composizioni più monotone, in cui i baroccheggianti intermezzi vengono sostituiti da un sound più smaccatamente heavy (da notare gli assoli delle sei corde accompagnati dai fraseggi delle tastiere, ascoltare “The Perennial Sophia” per credere), con un pizzico di power e d’immancabile folk.
I Therion, o per meglio dire Christopher Johnsson, prediligono per questo nuovo lavoro una linea melodica più pacata (termine stranamente appropriato se si pensa ai 160 elementi coinvolti nella produzione di “Lemuria/Sirius B”), più diretta nella sua consueta prolissità, meno magniloquente nell'impianto lirico dei pezzi.
Forti come sempre di collaborazioni di alto livello, i Therion sfoderano questa volta le voci calde e limpide di Katarina Lilja e Hannah Hogersson che contribuiscono a costruire un'atmosfera avvolgente e mistica. Di nome e di fatto, visto che ispiratore di questa nuova proposta della band è appunto un carismatico ricercatore dell’occulto svedese del XVII secolo le cui opere hanno fornito interessanti spunti di riflessione.
La storia di questo inusuale personaggio si snoda tra momenti votati alle classiche sonorità hard&heavy, l’opener “Mitternacht Lowe” (primo ponte di congiunzione con il trittico progetto originario) e la title track ne sono un chiaro esempio, e minuti più cadenzati e rarefatti come in “The Wisdom And The Cage”.“Tuna 1613” e “Trul” svelano influenze più prettamente power che si stemperano in “Close Up The Streams”, brano in cui il cantato si fa acido e stridente, portando a chiusura la prima parte di questo corposo lavoro.
Nessuno squillo di tromba per il secondo cd dell’album, che ricalca complessivamente l’andamento dei primi 38 minuti: pezzi dai chiaroscuri più sfumati giustapposti a brani più carichi e accesi.
Un inizio un po’ in sordina con “The Path to Arcady” e “Chain of Minerva” spiana la strada alla più riuscita “T.O.F – The Trinità,” in cui echi di power europeo si stagliano nell’aria accompagnati dagli assoli delle chitarre e dagli intermezzi orientaleggianti.
Il cerchio si chiude con la lunghissima “Adulruna Redivivia”, epilogo di un album, di una neo quadrilogia e di una storia di vita vissuta.
Quasi 15 minuti in cui le atmosfere più cupe si intersecano a passaggi folk e sinfonici che si perdono però in un mare di ridondanti ripetizioni.
Un lavoro complesso, ma retorico, ricco, ma ampolloso, che racchiude schegge di ingegno in una confezione dai decori troppo vistosi. Una critica rivolta non solo a quest’ultimo lavoro del combo svedese, ma a tutto l’universo sinfonico che ruota intorno a questo genere musicale: l’intuizione a volte vale più di mille parole.
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