Copertina 6,5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2007
Durata:52 min.
Etichetta:AFM
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. PHOENIX RISING (INTRO)
  2. WARRIORS CRY
  3. LOST AND GONE
  4. KEEPS ME BURNING
  5. TAKE ME OVER
  6. I’M GONNA WIN
  7. WATCHING THE WORLD
  8. CALL THE GIPSY
  9. TRUST IN YOU
  10. MASTERPLAN
  11. ENEMY
  12. HEART OF DARKNESS

Line up

  • Mike Di Meo: vocals
  • Roland Grapow: guitars
  • Jan S. Eckert: bass
  • Axel Mackenrott: keyboards
  • Mike Terrana: drums

Voto medio utenti

Possono stare tranquilli tutti coloro che lo scorso anno si ritrovarono a piangere disperati la dipartita di Jorn Lande e Uli Kusch, rispettivamente cantante e batterista di una delle band più interessanti emerse dal confuso panorama metal degli ultimi anni. Niente più pianti sul latte versato, niente più grida disperate contro la sorte ingrata che ha fermato anzitempo la corsa di una band destinata ad un sicuro e roseo avvenire.
Il nuovo disco dei Masterplan è una delusione, e lo sarebbe stato anche se a registrarlo fosse stata la celebre formazione originale, visto che gran parte dei brani erano già bell’è che pronti prima del fattaccio. Una delusione forse non totale, visto che di cose interessanti ce ne sono, ma certo è che se il termine di paragone rimane quello, altissimo, dei precedenti due dischi, allora c’è davvero ben poco da fare.
Chiariamoci: i cambi di formazione non hanno provocato sconvolgimenti di sorta nello stile della band, che si produce ancora una volta nelle sue celebri tirate speed, nei suoi mid tempos di grande respiro e dal chiaro sapore eighties, il tutto condito da una dose massiccia di melodia, ora catchy e ruffiana, ora più solenne e drammatica. Probabilmente sta proprio qui il problema: al terzo episodio della saga l’effetto sorpresa è svanito e le grandi canzoni (quelle che avevano fatto davvero la differenza in passato) non ci sono più.
Oddio, l’attacco al fulmicotone di “Warriors cry”, con quelle sue accelerazione helloweeniane e il chorus che più Masterplan di così si muore è decisamente accattivante, così come riuscita risulta “Lost and gone”, singolo apripista, sintesi perfetta del lato più hard rock della band (non l’hanno scritta loro, ma non sembra proprio!).
Le altre canzoni (se si eccettua l’ottima power song “Keeps me burning”) sono però soltanto un mero esercizio di stile: il buon Roland ha privilegiato i ritmi cadenzati e le atmosfere cupe, e fin qui nulla di male, il problema è che pezzo dopo pezzo, ascolto dopo ascolto, tutto scorre via nella normalità più totale. “Take me over”, “Watching the world”, “Call the gipsy”, “Trust in you”, sono tutte di buona fattura, pezzi più che dignitosi per ogni altra band di esordienti, ma non per loro, non per i Masterplan. Quando poi, decidendo di scrivere un anthem che porti il loro nome, si lanciano in una improbabile parodia dei peggiori Priest, viene davvero la sensazione che questa volta non ci siamo proprio. E quando a chiudere il tutto arriva la lunga e soporifera “Heart of darkness”, che del capolavoro di Conrad ha solo il titolo, la voglia di mettere su “Black in the burn” ha già superato abbondantemente la soglia di sicurezza…
Mi direte che non ho ancora parlato dei nuovi entrati: e che cosa c’è da dire? Mike Di Meo alla voce lo conoscete tutti, e fa giustamente quello che ci si aspetta da lui: sfodera una prova da dieci e lode, che non fa per nulla rimpiangere Jorn Lande, anche se forse ogni tanto ci manca la sua aggressività. Sulle strofe di “I’m gonna win” fa venire la pelle d’oca per l’intensità che ci mette, ma ad essere onesti bisogna dire che le sue linee vocali non sono niente di eclatante: se è tutta farina del suo sacco mi sa tanto che siamo nei guai…
Anche il drummer Mike Terrana è un volto noto sulla scena, per cui perché sprecare spazio inutilmente: è assolutamente inutile dire che anche lui offre una prova maiuscola, nonostante Uli Kusch fosse in possesso di uno stile più vario.
Come ho detto prima, il problema non è dei nuovi entrati, ma delle canzoni. “MKII” piacerà a tutti coloro che amano questo genere musicale, e sarà senza dubbio salutato come un capolavoro da centinaia di colleghi sparsi per il mondo. Mi spiace ma io non mi aggrego: datemi dell’incompetente, datemi dello snob, ma io da Mr. Grapow e dai suoi compagni di avventura mi aspettavo molto di più. E adesso scusatemi: devo andare a rimettere su “Aeronautics”…
Recensione a cura di Luca Franceschini

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