"Kill, Crush, Destroy" represents 11 songs of chaos. Così recita la biografia. Niente di più azzeccato. Questo lavoro degli statunitensi Watchmaker è quanto di più volutamente insensato mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi; è un album spontaneo, senza né capo né coda, che non segue alcun filo conduttore nemmeno all'interno di una stessa canzone, un album in cui Brian Livoti si lancia in una serie d'urla più o meno sconnesse gettate a casaccio nella mischia. Ciò che vi stupirà è che sono proprio queste le intenzioni della band. Se dovessi quindi giudicare i proponimenti della band non potrei che complimentarmi con i cinque, che sono riusciti a mettere in piedi davvero un album di solo caos, animalesco ed istintivo al limite dell'umano. E' però lecito chiedersi che senso abbia, o meglio, a chi possa piacere una cosa del genere. Sì, perché nonostante la band dica di rifarsi musicalmente al sound di Kreator, Voivod e Vio-lence, qui di riffing thrash non c'è manco l'ombra. Le songs s'imperniano su qualche accordo ripetuto o su motivetti pseudo-thrash replicati all'infinito, e in fretta va a finire che lo sbigottimento iniziale provocato dalle prime sconvolgenti tracce si trasforma in un sonoro sbadiglio per quella che è una ricetta pre-confezionata, monotona e, diciamo la verità, piuttosto facilotta. Come ogni opera artistica, ognuno è libero di dare la propria interpretazione e quindi non dubito che molti plauderanno a quello che è comunque un album coraggioso. Quello che però non si può mettere in dubbio è la scarsa capacità dimostrata dai cinque nel sapere perlomeno tenere in mano il proprio strumento, e soprattutto la scarsa capacità compositiva che, dopo il breve guizzo iniziale, si dimostra pressoché inesistente. "Invert and Crush", "Dummy Text", "Flowers of Evil"... non vale nemmeno la pena citare qualche canzone in particolare, tutto l'album dimostra di essere un pastone piatto, curioso sì, ma comunque musicalmente basato su scelte sonore già ampiamente sentite. Non mancano a volte momenti di vera immaturità artistica, come nell'insulsa "Arise in Might", con uno stacco di lead guitar sinceramente di dubbio gusto oltre che di pessima realizzazione. Ripeto, forse quest'album è proprio come l'avevano in mente i cinque musicisti (mah...), ma d'esperimenti del genere, sconnessi e caotici, ce ne sono già stati molti e di migliori nella storia del metal, e di questi Watchmaker non se ne sentiva proprio il bisogno. Già, perché a questo punto non trovo molto riuscito un album che dovrebbe essere inquietante, conturbante e sconvolgente, e che si scopre invece addirittura più soporifero degli ultimi gran premi di Formula 1...
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