Il mondo è crudele, la vita non ne parliamo, ma il cinismo, la determinazione e il genio di un manipolo di Musicisti con le idee chiare, e contemporaneamente innovative e originali (nel più profondo senso letterario) sono un qualcosa di fastidioso e irritante. Immaginate un flusso sonoro obliquo, spesso vellutato e fluido, ma ogni tanto anche ruvido, frastagliato, abrasivo oserei dire. Ecco tutto questo bisogna inserirlo in territori che in una solida base Avantgarde sa anche districarsi su impalcature percettive che sfociano nel free-jazz, per andare a morire nell'elettronica d'autore. Vi state ancora chiedendo di chi sto parlando? Di una band Italiana, di un complesso di artisti che non ha dovuto scopiazzare, che non si è dovuta inchinare per dare il culo, dei Thee Maldoror Kollective, il Kollettivo di idee per eccellenza. Questo nuovo Pilot non è assolutamente un prodotto facile e fruibile, è un bel quadro più che altro, uno di quelli apparentemente sconnessi e astratti, ma in realtà ricco di particolari che rendono il tutto unito ad uno stesso filo conduttore. Il problema è tradurre questi concetti con le note, ecco perchè non mi dilungherò in un track by track, che proprio non sopporto, ma cercherò di mostrarvi il disegno, i dettagli (e le sorprese) è meglio lasciarli a voi. Da quando la band non si chiama più Maldoror, e da quando soprattutto il Black Metal propriamente detto è stato abbandonato ci si è spinti in un vortice di evoluzione che non conosce sosta, e in ogni nuovo capitolo cambia le carte in tavola per sfogarsi in altre soluzioni. Il precedente A Clockwork Highway si esprimeva più che altro in ambienti asettici e freddi, oscuri e cupi nei deliri elettronici che lo caratterizzavano, era quindi inutile e scontato continuare su quella strada, ed è cosi che questo nuovo album ha in se un'anima più acustica e calda, carnale direi. Pilot ha dalla sua ancora una componente noise/electro, e non potrebbe essere altrimenti, ma quello che in questa occasione si dimostra di vitale importanza è una struttura che solo apparentemente è catalogabile in una tradizione artistica con tanti anni ormai alle spalle, il Jazz. Un genere che se però usato in un contesto simile, quale quello dei Thee Maldoror Kollective, risulta veramente storto e allucinogeno, Microphones & Flies e Exile (In Serenity) parlano più di 1000 parole. Un vero e proprio viaggio, un trip che vive di momenti solo inizialmente sconnessi e fuori luogo, ma se digeriti nel loro insieme è il momento in cui se ne rimane tramortiti, e anche piacevolmente stupiti. Ora potrei andare molto oltre e scendere nei dettagli, e rischierei di annoiarvi a morte, vi dico solo che ci sono tanti colori, ma che non fanno mai male alla retina, la sollecitano e la stimolano a guardare ancor più da vicino. Ma le conseguenze saranno devastanti, chi si avvicina a questo mostro sonoro con la mente predisposta, cioè vuota da tutto, solo in seguito si spaventerà. Perchè? Vi dico in tutta sincerità che vivo nel terrore, al solo pensiero di quello che potrebbe essere a questo punto il prossimo passo, dove arriveranno, ma soprattutto dove ci porteranno? L'inferno l'abbiamo già passato tempo fa.
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