La sincerità prima di tutto. Sedersi davanti al monitor del pc, con le note di questo nuovo lavoro dei Dream Theater in sottofondo, apprestandomi a recensire quest'ultima fatica del combo newyorchese, rappresenta per me una prova di fuoco. La band prog metal più famosa del globo è in cima alle mie preferenze musicali, ed è quindi per me un onore ed un onere, poter descrivere per filo e per segno questo "Systematic Chaos". Ma si parlava di sincerità, quindi viene naturale chiarire un punto focale per il prosieguo della recensione; i Dream Theater hanno già scritto i propri Capolavori, entrando di diritto nella Storia della musica metal. Così come da anni, e da tre dischi a questa parte, sembrano una band allo sbando, priva di idee e di mordenti, con pochissime frecce al proprio arco. "Six Degrees Of Inner Turbulence", balenottero altalenante spalmato su due dischetti, "Train Of Thought", l'antro più profondo ( si salvano giusto giusto un paio di pezzi ) dove la band credeva di poter scovare pietre preziose, ritrovandosi tra le mani pietre grezze e durissime per la propria lapide...ed infine, "Octavarium", un collage di citazioni, idee altrui e clamorosi plagi, confezionato ad arte per ammaliare l'astante ascoltatore di turno. Un trittico di lavori che ha spezzato in due l'audience, mettendo a dura prova persino la pazienza di quel nutrito, enorme stuolo di die hard fans ( il sottoscritto è uno di loro ). Un trittico di passi falsi che poteva distruggere la carriera di qualsiasi altra band. Ma non i Dream Theater. "Systematic Chaos" è qui per dimostrarcelo, riuscendoci in pieno. Andiamo con ordine e per gradi. Quello che molti chiedevano ai cinque americani era assai semplice: poter ascoltare un album onesto, scritto con il cuore, lasciando da parte gli stucchevoli ammiccamenti ad altre bands e le facili ruffianate a sette corde che hanno ribassato di dodici toni i nostri testicoli. Canzoni di due minuti oppure interminabili suite, l'importante era esser sinceri. Ed in questo la band ha fatto centro ( o quasi ), sfornando un disco di classe assoluta, con canzoni che sanno emozionare come i vecchi classici ( riportandoci alla mente lavori del calibro di "Awake", "Falling Into Infinity" e "Scenes From A Memory" ) e stralci delle ultime sonorità, levigate da inutili orpelli stilistici. "In The Presence On Enemies - part one" apre il sipario ed è subito un flusso continuo di emozioni. Un prog metal ispirato, limpido e cristallino, come da anni non sentivamo. Prima parte strumentale, con Petrucci e Rudess a dominare la scena, con ampi squarci al limite dell'arte PinkFloydiana - al minuto 3:00 si raggiunge facilmente il Paradiso - che funge da preambolo per una seconda parte, nella quale LaBrie comincia a mostrare tutta la sua bravura, confermando il suo ottimo stato di salute, che perdura da un bel pò di anni ad esser sinceri. Il finale è in crescendo, richiamando alla memoria la drammaticità di "Scenes From A Memory"; una grandiosa opener, niente da obiettare. "Forsaken" parte con un Rudess timido, maltrattato subito da un Petrucci super distorto ma è compito dello sciamano LaBrie condurci in territori soavi e delicati, con linee vocali catchy che possono ricordare bands come Evanescence. La chitarra di Petrucci mette la firma con un pregevole assolo, prima del finale ad appannaggio di LaBrie. La band torna a giocare duro e sporco - almeno in parte - con "Costant Motion", song caratterizzata da un'eccessiva idolatria nei confronti dei Metallica; difatti l'incipit iniziale, con un LaBrie che scende ai piani bassi imitando Hetfield, ricorda molto la produzione vecchia dei Four Horsemen. Dopo questi minuti di relativo sbandamento, la band riporta il sound su lidi più consoni, regalandoci una seconda parte ispiratissima. Echi di James Murphy - "Feeding The Machine" era - mischiati al Satriani di "The Extremist", vengono fusi e rimodellati con il songwriting maestoso dei cinque, donandoci tre minuti da pelle d'oca. "The Dark Eternal Night" è senza dubbio alcuno il brano più pesante scritto dai nostri. Una pesantezza ed una cattiveria condotte con mano sicura, senza cadere fragorosamente come fecero con "Train Of Thought", quindi si può tirare un bel sospiro di sollievo. Il cantato di LaBrie è sporco, incisivo, graffiante, e ben si sposa con i continui "disturbi" vocali di Portnoy; inoltre il chorus, semplice ma efficace, si stampa facilmente in testa. Dal minuto 4:00 in poi, ecco che la band tira fuori tutti i suoi conigli, dimostrando che il cilindro è ancora lontano dall'esser arido; la song si tramuta in una parata strumentale, con i quattro strumentisti in grandissimo spolvero ( Portnoy e Rudess in primis ). A metà disco trova posto la quarta parte della Saga Dell'Alcolismo, scritta da Portnoy. "Repentance", questo il titolo, riprende il tema portante di "This Dying Soul", sviluppandosi attorno ad un mood lento, ipnotico, intrigante. Un brano perfetto per smorzare i toni accesi e caldi, donando un pò di respiro dopo le due precedenti songs. "Prophets Of War" risulta il brano meno riuscito del lavoro, ispirandosi fin troppo all'arte dei Muse. Questo avviene solo per i primi ascolti, dopo di che il brano acquista una luce diversa, soprattutto a fronte di un'assimilazione maggiore della seconda parte che promette scintille in sede live. L'apice del disco è rinchiuso dentro a " The Ministry Of Lost Souls", quindici minuti di classe e poesia. La canzone si sviluppa in una prima parte sognante, quasi eterea, fortemente emozionante, con un LaBrie a livelli eccelsi - e lo sguardo si posa in fretta su "The Spirit Carries On" - mentre tutta la band si prodiga per ammantare l'atmosfera con melodie leggere ed evocative. Dopo sette minuti delicati la band stravolge il tutto, ed il prog metal maestoso torna a dominare la scena. Quattro minuti di follia, con Petrucci e Rudess liberi di inventarsi qualsiasi tipo di soluzione, ben supportati da un Myung possente e preciso. Nel finale, gran ripresa del tema iniziale, ed è doverosa la standing ovation per questo brano. Sublime. A chiudere il disco, "In The Presence Of Enemies - part two", che riprende il tema dell'opener, con prime note inquietanti prima dell'entrata decisa di Petrucci, subito accompagnato da alcune linee vocali cattivissime di LaBrie. Ma questa canzone è un'enorme matrioska, contenendo al suo interno svariati cambi di umore; si passa dall'andamento tetro dell'incipit, al break quasi thrash del minuto 6:00, arrivando fino al "classico" tourbillon progressive del finale. Un brano epico e maestoso, che assolutamente non sfigura con le precedenti piece de resistance ( vedi "Trial Of Tears", "Scarred", "Home"... ). Il disco è terminato, ed è possibile - in nome della sincerità in apertura - dichiarare che la band non ha esaurito la fiamma dell'Ispirazione. "Systematic Chaos" ci consegna una band in formissima, consci del fatto che certe vette artistiche non si potranno mai più raggiungere, che riesce ancora ad emozionare e convincere anche dopo svariati anni di successi. Personalmente non nutrivo molte speranze; felicissimo di esser stato sconfessato, era dai tempi di "Scenes From A Memory" che un lavoro dei Dream Theater non mi coinvolgeva così tanto. Dark master, my guide, I will die for you...