Il monicker (i Melvins devono aver rivestito un ruolo importante nella storia di questo gruppo laziale) farebbe pensare ad una band oltremodo devota all’indimenticato Seattle sound, ma in realtà non c’è solo il grunge (nella sua variante maggiormente ruvida e vicina all’universo punk) nel sound dei Milvains.
Liriche caustiche in linguamadre, il cantato rabbioso e scandito di Stefano e le tipiche accelerazioni ritmiche riportano, infatti, pure la mente alla stagione migliore dell’hardcore italiano, e non stupisce più di tanto che sia la Vacation House di Rudy Medea, uno che quell’epoca l’ha vissuta in prima persona, a patrocinare questo “Gemini”.
I punti di forza risiedono proprio in un viscerale tessuto musicale fuso con un sufficientemente calibrato e dirompente apparato vocale e personalmente preferisco i Milvains quando danno libero sfogo a queste caratteristiche con discreta personalità, come avviene in “Gemini”, “Luna negli occhi”, “Non dico mai che”, “La spirale verso il basso” o nell’egregia “Impossibile”, mentre altrove, nonostante la grinta, la passione e l’entusiasmo, sempre costanti, un atteggiamento un po’ ingenuo e didascalico s’impadronisce delle loro composizioni, raggiungendo il proprio apice in “Sarà sempre peggio”, davvero troppo Nirvaniana nel suo incedere.
I Milvains superano l’esame dell’esordio discografico con una sufficienza piena, colpiscono con vigore e credibilità “intellettuale”, e se sapranno aggiungere all’energia anche una superiore spregiudicatezza, allontanandosi da certi schemi fortemente caratterizzati, potranno puntare senza problemi a traguardi ancor più soddisfacenti.
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