Ecco l'album che mancava nella longeva vita dei Paradise Lost, ovvero quello del definitivo ritorno alle origini che tanti (ed io sono uno di quelli) si auspicavano. Se il precedente 'Paradise Lost' aveva abbondantemente creato il preludio ad una definitiva evoluzione verso gli antichi splendori, il presente 'In Requiem' decreta il definitivo comeback a sonorità granitiche, oscure, anzi per meglio dire, grigie e grevi, proprio come una statua posta al cancello di un cimitero, custode del tempo e del sonno degli spiriti. L'ultimo album della band inglese è un monolito di puro e fumante Gothic Metal, come da anni, forse da una decade addirittura, non si sentiva. Per rimanere in tema Paradise Lost, 'In Requiem' si potrebbe collocare tra la magnificenza di 'Icon' ed il risvolto più easy (ma comunque spettacolare) di 'Draconian Times'. Ho impiegato circa un paio di settimane per metabolizzare questo dischetto (lo so Graz, ora mi dirai che sono un polentone! - nds), ma oramai è fisso un ascolto al giorno. Il Gothic Metal perduto nel tempo è ora di nuovo al proprio apice... certo, la svolta elettronica che ha caratterizzato gli ultimi lavori dei nostri ha lasciato segno: non è infatti un caso che oltre al purissimo goticone, classico trademark che fu della band di Holmes e Mackintosh, diversi sono gli inserti elettronici, vuoi a tappeto o più in prima presenza, ma tutto sembra essere in perfetto equilibrio in un quadro che, una volta assimilato, lascia senza respiro. Il singer Holmes mette tantissimi vocalist dietro (se vi dicessi che si lascia andare anche a parti, diciamo, ruvide, ci credereste?) e l'ispirazione che deve aver accompagnato i nostri in fase di songwriting al giorno d'oggi ha pochi concorrenti. 'In Requiem' è un perfetto bilanciamento tra brutalità ed empatia, tra horror e delicatezza, ma soprattutto non è una autocelebrazione o un canto del cigno di una delle band più seminali degli anni '90. Il resto lo compie la produzione dura e fangosa (ma pulita) di Rhys Fulber, ed il perfetto missaggio di Mike Frezer (già mano sul mixer di AC/DC, Aerosmith e Metallica, tanto per dire). L'undicesimo album dei Paradise Lost è senza ombra di dubbio la creazione più pesante ed oscura che i ragazzi abbiano mai dato alle stampe dai tempi di 'Icon' (1993) a questa parte. Un lavoro che ci voleva per rinvigorire il Gothic Metal, un genere che ha visto i Paradise Lost come uno dei padri indiscussi e, senza smentite, uno dei migliori interpreti di sempre. 'In Requiem', provare per credere. Un album esemplare, per le generazioni passate e per quelle future. Ah, dimenticavo, non ho parlate delle singole songs perché è praticamente inutile, essendo tutte ad altissimo livello… ma 'Beneath Black Skies'…che brivido...
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