Da qualche tempo (per la verità da parecchio) è apparsa sulla Terra, nella città anticamente denominata Néa-pólis, una figura “mitica” a cui tutti gli adoratori del dio “hard rock melodico” possono affidarsi con fiducia, capace, come un novello Yesce Norbu, di esaudire (quasi) tutti i loro desideri, a patto che tali brame siano sufficientemente sentite e sincere.
Così, dopo aver riportato alla “vita” (discografica) icone del settore del calibro di Journey, Toto, House Of Lords, Survivor, Winger e Wetton/Downes (tra le altre), ecco che viene realizzato un altro grande “sogno” di chi ama, io per primo, questo favoloso cosmo musicale fatto di melodia, passionalità e vigore: il come-back dei Night Ranger.
Ok, probabilmente ho “romanzato” un po’ troppo la presentazione della nostra Frontiers e forse sono stato addirittura un po’ “blasfemo”, ma non ho trovato nessun’altra maniera per poter esprimere efficacemente la mia stima per la label napoletana, che, uno dopo l’altro sta acquisendo un po’ tutti i miei “eroi” personali, riconsegnandoli, come meritano, al loro affezionato pubblico.
Era dal 1998 che il favoloso Ranger della Notte non tornava a scorazzare nel mercato discografico e anche se l’attesa era stata mitigata da alcuni “palliativi” eccellenti, che vedevano coinvolti alcuni dei componenti di questa fantastica “famiglia” statunitense (l’ultimo lavoro solista di Kelly Keagy, e il progetto Shaw/Blades, sono i più recenti), è chiaro che vedere riuniti ancora una volta praticamente tutti i suoi straordinari membri storici attorno ad un unico “desco”, stimoli sensazioni decisamente più intense.
Ed arriviamo, dunque, a questo “Hole in the sun”, un lavoro che sono sicuro desterà ben più che una perplessità nei fans del combo californiano.
Nessuno, credo, potrà affermare che i Night Ranger nella loro corposa carriera si siano mai adagiati sugli “allori”, riproponendo in maniera sistematica e assoluta un canovaccio di successo, ma è chiaro che chi si aspettava una “riproduzione” dei temi fondamentali di capisaldi del class-rock come “Dawn patrol”, “Midnight madness”, “7 Whishes” o “Big life”, rimarrà sicuramente un po’ deluso da questo nuovo Cd.
Perché? Presumibilmente perché a Gillis, Watson, Blades, Keagy e Lardie (l’unico elemento non “originale”, sostituto dell’ex Montrose, Hagar e Gamma Alan Fitgerald) non interessa l’autocompiacimento nostalgico, perché nel frattempo ognuno di essi ha acquisito varie esperienze in molteplici collaborazioni (i Damn Yankees, per esempio, si dimostrano discretamente importanti nell’economia del dischetto) e specialmente perché intanto il mondo della musica è cambiato, si è trasformato, è stato “sconvolto” da realtà più cupe, aggressive e da un diverso modo d’intendere il concetto di “radio-friendly”, situazioni che evidentemente non hanno lasciato del tutto indifferenti i nostri protagonisti e che, questa volta, ritroviamo inserite nella loro proposta.
“Hole in the sun” è, infatti, un disco che conserva il tipico trademark dei californiani, la loro peculiare raffinatezza, il songwriting volubile, tra imperiose espressioni energetiche e felpate traiettorie accattivanti, condotte da due solisti da brivido e da armonie vocali scatenanti vero “piacere” fisico, ma il tutto viene anche abbastanza fortemente “attualizzato”, con le chitarre che si appesantiscono, prendendo spesso e volentieri il sopravvento sulle melodie.
Ascoltate “Tell your vision” e “You’re gonna hear it from me”, due numeri che sembrano catapultare direttamente i Maledetti Americani nel terzo millennio, “Drama queen”, con le due “asce” a duellare come ai tempi “belli” in un contesto però più moderno o stupitevi di un brano come “Whatever happened”, che appare davvero come un tentativo (discutibile finché si vuole, ma non sgradevole) dei Rangers di fare gli “alternativi” (c’è anche qualcosa del Blades solista) e non potrete che rilevare la loro voglia di “novità”, senza snaturare altresì troppo le proprie migliori attitudini.
“Rockstar” è un altro “figlio dei nostri tempi” e quindi presumibilmente un momento parecchio controverso; irruente, cadenzato, a tratti stranamente “sgarbato” e pure discretamente ammaliante, esso si contrappone ad una title-track dove la tradizione yankee s’arricchisce di uno splendido refrain, mentre “White knuckle ride” si presenta con le fattezze di eccellente modern hard rock dagli accenti vagamente psichedelici, “Revelation 4 AM” si fa apprezzare per la sua emozionante semplicità elettro-acustica e “Wrap it up” ci riconsegna dei Night Ranger maggiormente “familiari”, in cui i riff “graffiano” con acume e la linea melodica conquista all’istante.
Arriviamo al capitolo ballads, altro vero punto di forza della “casa” (come dimenticare “Sister Christian” un singolino da sei milioni di copie negli USA!) e “There is life” prosegue nella fortunata tradizione con immutata intensità romantica, “Fool in me” seduce con una struttura acustica di stampo seventies e “Being” chiude elegantemente l’album con buone qualità di coinvolgimento emozionale.
Arrivati al giudizio finale, non posso non definire “Hole in the sun” un platter brillante per esecuzioni e partiture, che probabilmente non passerà alla “storia”, è, per certi versi, sorprendente e trabocca del coraggio e del carisma dei suoi autori, per i quali sarebbe stato sicuramente molto più facile, visto anche il rinnovato interesse (apparente?) per certi suoni, optare per un recupero acritico del loro passato artistico. Non chiedetemi e soprattutto non fate l’errore di utilizzare quest’ultimo per degli improponibili paragoni (la questione “affettiva” non è, tra l’altro, affatto trascurabile) … cercate di valutare i “nuovi” Night Ranger senza pregiudizi e troverete ancora una volta sostanziosi motivi di soddisfazione nell’arte che sanno produrre.