Copertina 7

Info

Anno di uscita:2007
Durata:63 min.
Etichetta:Escape
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. SHOW THE WORLD
  2. NEVER STAND ALONE
  3. TEST OF FAITH
  4. WHO WILL BE THERE?
  5. MESSAGE TO GOD
  6. ONE OF US
  7. LONG TIME COMIN'
  8. CAUGHT IN THE MOMENT
  9. HERE IN MY HEART
  10. WELCOME TO THE REAL WORLD
  11. DEFYING LOGIK
  12. SHADOW IN THE NIGHT
  13. JESSICA
  14. BACK OF MY MIND
  15. HIGHER

Line up

  • Phil Vincent: vocals, guitars, synth, organ, piano
  • Damien D'Ercole: guitars, bass
  • Dirk Phillips: drums

Voto medio utenti

Continua la “sfida” tra la Frontiers e le sue prestigiose antagoniste per accaparrarsi l’ambito scettro dell’hard rock melodico, e se, per il momento, esso rimane saldamente nelle sapienti mani della label partenopea, è la britannica Escape a ridurre le distanze nei confronti della nostra inarrivabile “gloria nazionale”.
L’artefice di tale avvicinamento proviene dal più piccolo stato degli USA (il Rhode Island, per i meno ferrati in geografia, famoso soprattutto per aver dato i natali al caposcuola della letteratura horror Howard Phillips Lovecraft) ed ha già pubblicato ben nove dischi da solista, piuttosto apprezzati da addetti ai lavori “illuminati” e da un affezionato seguito di sostenitori.
Si chiama Phil Vincent e questa volta decide di affidarsi al monicker Tragik e di condividere la sua abilità di songwriter e multistrumentista con due valenti musicisti: il drummer Dirk Phillips e Damien D'Ercole, un giovane talento che, sebbene sappia esprimersi con bravura anche con le quattro corde, è con le sei che mostra davvero tutta la sua cognizione specifica, sia nell’arte del riff, sia, e soprattutto direi, in quella del solo istantaneo e ficcante.
La musica proposta è un gradevole rock adulto, che sa essere aitante e spedito, passionale e soffuso o flirtare (senza “compromettersi” troppo) con il modern-pop, e sempre mantenendo una certa capacità attrattiva, fondata sulla classe e sull’espressività di un artista intelligente nella stesura dei brani, capace di evitare la ripetitività dei temi trattati e successivamente in grado di utilizzare la sua emozionante voce come tramite tra la sua penna e il cuore degli ascoltatori.
S’inizia con la corroborante “Show the world”, ma i primi incontrastati consensi “Poetic justice” se li accaparra con “Never stand alone”, una sorta di ardimentosa disfida tra l’intensità acustica dei Led Zeppelin e le vette corali dei Boston … una vera libidine per i timpani degli estimatori del rock.
“Test of faith” sviluppa la sua melodia istantanea su un gustoso arrangiamento tastieristico e anche se le strofe sono migliori del refrain, leggermente scontato, il risultato complessivo è lodevole.
“Who will be there?” è un blues-rock dalle tinte settantiane (chi ha detto Bad Company?) di notevole seduzione emozionale, “Message to God” inaugura l’attitudine “techno-pop” con vocals filtrate e suggestioni “sintetiche” lasciando, anche grazie all’estrosa chitarra dell’ospite Billy Roux (dei What Matters, che insieme a David Zychek, di fama Airborne e Night Ranger, offre il suo contributo alla riuscita del disco), gradevoli sensazioni al suo passaggio, ma se volete saggiare le reali capacità dei Tragik in questo campo specifico, lasciatevi soggiogare da “Welcome to the real world”, la quale in certi frangenti può ricordare il Geoff Tate solista e pur senza evidenziare la medesima forza espressiva, persuade con una trama elegantemente catalizzante.
Lo struggente romanticismo di “One of us”, riproposto anche in “Jessica”, esplora con dovizia la vena intimista del gruppo americano, “Long time comin’” ammalia con le sue armonie grintose e avvincenti, laddove “Caught in the moment” irrobustisce il gusto “modernista” delle partiture, alle quali, in questo caso, non farebbe male un pizzico di superiore sinteticità.
La notturna “Here in my heart” avvolge con charme ed efficacia, “Shadow in the night” coinvolge con una struttura base vagamente “familiare” (l’aristocrazia britannica di Purple/Whitesnake/Rainbow “teletrasportata” nel terzo millennio?) suggellata da uno strategico lavoro chitarristico, così come non troppo “rivoluzionario” eppure trainante si manifesta il passo atletico e anthemico di “Back of my mind”, mentre “Higher” chiude l’albo con un peculiare hard-blues sincopato (tra gli Skin di Neville McDonald e i maestri Aerosmith), che riesce ad essere al contempo pure ricercato con le sue fugaci textures vocali dall’effetto estetizzante.
La “tenzone” ipotizzata all’inizio di questa disamina continua nel migliore dei modi, dando vita ad una situazione altamente produttiva, almeno per gli apparati uditivi degli chic-rockers all’ascolto, che sentitamente ringraziano.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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