Mi sono lasciato attirare dall'esordio degli inglesi
Rise To Addiction per la presenza dei due chitarristi che avevano fatto ottime cose, su disco e dal vivo, durante la loro militanza nei Blaze. John Slater e Steve Wray con i Rise To Addiction hanno però preso una direzione che li porta distanti da quanto proposto al fianco dell'ex Iron Maiden, e sono riusciti ad attirare l'attenzione del noto produttore Andy Sneap (Machine Head, Megadeth, Killswitch Engage, Trivium...) che per i Rise To Addiction ha prima prodotto un EP di tre pezzi e quindi questo album.
Oltre ai due chitarristi la line up è completata da ben tre ex Ninedenine: gli ultimi arrivati Joel Graham (basso), Aynsley Dickinson (batteria) ed il cantante Leigh Oates, il quale ha sostituito quel Harry Anderson che aveva cantato sul già citato EP.
La sua voce ricorda, senza averne però lo stesso spessore, quella di John Bush, cantante degli Armored Saint ed Anthrax, e proprio questi ultimi, magari quelli più alternativi, possono essere presi come un primo punto di confronto, sopratutto guardando a brani come "Cold Season" e "This Ride", ma altre influenze che emergono possono essere gli Alice in Chains ed i Soundgarden ("Everlasting Wave"), come pure i Machine Head (piuttosto evidenti nel guitarwork).
Al suono deciso delle chitarre e ad una sezione ritmica sempre presente ed articolata ("Falling As One" o "I Follow"), i Rise to Addiction abbinano l'evidente ricerca di ammiccanti soluzioni atmosferiche e della giusta melodia, ma alla fine non realizzano brani memorabili e l'album sfuma via in maniera indolore, anzi lasciandosi dietro un pizzico di noia.
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