Gli And Harmony Dies danno alla luce il loro terzo full lenght, questo “Flames Everywhere”, il quale è sicuramente il disco più impegnartivo e al tempo stesso pretenzioso che la band abbia composto nella sua decennale carriera.
Parlo di disco pretenzioso, venendo quindi subito al sodo, perché quando si esplorano territori nuovi, soprattutto in campo avanguardistico (come è nelle intenzioni della band che si definisce “ecletic avangardish metal”), il rischio è quello di dare vita ad un platter confuso, confusionario, dove le più disparate influenze vengono miscelate secondo criteri mai appieno coerenti e funzionali, e dove il risultato è che ci si trova spiazzati e interdetti di fronte ad un tipo di sound che sebbene voglia apparire colto ed intellettuale, appare, per altro verso, per quello che in realtà è, ovvero un tentativo di superare i propri insormontabili limiti compositivi.
Questa è la sensazione che compare in molte tracce di questo disco, dove i riferimenti agli Arcturus o ai Limbonic Art sono solo fumo negli occhi, mancando gli And Harmony Dies del necessario genio compositivo per accostarsi a quelle band.
Con ciò non si vuole dire che il disco sia completamente da buttare, ci sono episodi buonissimi, come “Practice” e “Inflamed Set Afire Almot Burned” ma la generale mistura di black, power, progressive, rigurgiti death, tastiere usate nelle più disparate salse, vocals spesso poco efficaci (soprattutto lo screaming), creano una sensazione di incompiutezza, di “vorrei ma non posso”, con momenti che spesso spiazzano e rovinano il pathos dei pochi momenti buoni e ispirati all’interno di una song.
Lo stesso concept lirico, sebbene nelle premesse sia interessante, volendo raccontare la storia del protagonista principale, chiamato Daemon, il quale nel suo cammino spirituale verso la conoscenza, fa propri tutti i cliché dell’occultismo, dell’esoterismo e del satanismo in generale, citando a destra e manca tanto Crowley quanto Manson, dicevo lo stesso concept lirico è raccontato in maniera alquanto puerile oserei dire, didascalico, qualunquista, banale.
Apprezzabile lo sforzo, censurabile il risultato. Evitabile la conclusiva cover dei Venom “At War With Satan”, la quale con i suoi venti e passa minuti non fa altro che appesantire un disco di per sé già indigestibile.
Spiace stroncare ragazzi che ce l’hanno messa tutta, e i loro evidenti sforzi, di sicuro ci sarà qualcun altro che incenserà questo disco e si bagnerà al suo ascolto. Non è il mio caso.
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