Ricordo perfettamente che quando ero ragazzetto (quindi molto tempo fa purtroppo, eheheh) qui da noi impazzivamo tutti per il thrash… nella rosa dei gruppi preferiti ce n’erano due che apprezzavamo in pochi, forse perché troppo cervellotici e comunque troppo avanti per quei tempi. Uno di questi era canadese, e sto parlando naturalmente dei Voivod, la stupenda creatura di Away e del mai troppo compianto Denis “Piggy” D’Amour. L’altro invece veniva dalla Germania e si distingueva dalle tipiche band teutoniche sia per la ricercatezza del suono, sia per il fatto che per molti anni niente si sapeva di loro. Nessuno sapeva chi militava in questa straordinaria band che risponde al nome di Mekong Delta. Il mistero, unito alla proposta musicale assolutamente particolare e fuori dagli schemi ha elevato il gruppo allo status di cult band, e quando qualche tempo fa ho letto della loro reunion ero contento per il ritorno di una delle band più geniali e sottovalutate della storia del metal e al tempo stesso curioso di vedere cosa avrebbe partorito Ralph Hubert, bassista, membro fondatore, principale compositore e unico membro originale rimanente nell’attuale formazione. Non che questa sia una novità in casa Mekong Delta, visto che la line up del gruppo è sempre stata molto variabile (vi basti sapere che tra le decine di musicisti che hanno fatto parte della band ci sono ex membri di Rage, Living Death, nonché un tale Jorg Michael, che non penso abbia bisogno di presentazioni…) e per il ritorno sulle scene della sua creatura il buon Hubert si circonda di veri e propri assi e decide così di chiamare dietro le pelli il fenomenale Uli Kusch (ex Holy Moses, ex Gamma Ray, ex Helloween, ex Masterplan e anche ex Mekong Delta, visto che aveva già militato nella band nel lontano 1988), alla chitarra Peter Lake, già in forze nei Theory In Practice, altra band fenomenale, e alla voce il talentuoso Leszek “Leo” Szpigiel. Con una formazione così e con le sue stupefacenti idee difficilmente poteva fallire, e infatti questo nuovo “Lurking fear” rasenta il capolavoro assoluto… Stiamo parlando di prog-thrash di altissimo livello, con innesti di musica classica che non sono mai mancati nel sound della band. La particolarità di questo cd, però, sta nel fatto che Hubert non perde mai di vista la forma canzone, e riesce quindi a non rendere il tutto una semplice dimostrazione di tecnica fine a sé stessa. In questi brani la tecnica è al servizio delle song, non è sputata in faccia con egocentrismo e sbruffonaggine. Ogni singolo riff, ogni melodia (vocale o musicale che sia), ogni cambio di tempo, ogni assolo… tutto ha il suo perché, e alla fine del disco non potrete far altro che premere di nuovo play per riascoltarlo e scoprire di volta in volta nuove sfumature di questo disco ricchissimo di idee. I nostri partono subito in quarta con “Society in dissolution”, diretta e compatta, dal forte sapore voivodiano, seguita a ruota da “Purification”, più pacata e riflessiva e da “Immortal hate”, dove la band torna a premere l’acceleratore, con una sequenza di riff incrociati che lascia il segno. Dopo il trittico iniziale da cardiopalma è la volta di “Allegro furioso”, il primo dei tre pezzi più spiccatamente “classici”, dove le melodie della musica colta si intersecano ai riff di Lake, il tutto sorretto da un lavoro assolutamente disumano di Uli Kusch, che in questo cd dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che razza di batterista sia. “Ratters” ha un inizio quasi poppeggiante, e non fa altro che sottolineare quanto la melodia giochi un ruolo fondamentale nelle composizioni di Hubert, il tutto naturalmente senza risultare stucchevole, ma sempre letto con un’ottima schizoide (ascoltate il ritornello per capire…). Ancora musica classica con “Moderato”, che non è altro che una divagazione intorno al tema della Marcia Imperiale di Star Wars, il tutto naturalmente riletto secondo l’ottica Mekong Delta, quindi impreziosito di stacchi e passaggi prog assolutamente efficaci. Ci si avvia alla fine (purtroppo) con un titolo che è tutto un programma: “Defenders of the faith”. Ma non temete, i nostri non si sono rincitrulliti di botto in preda a un raptus manowariano… si tratta come sempre di un brano cervellotico ma al tempo stesso lineare e assimilabile già dal primo ascolto. C’è tempo ancora per “Symphony of agony” prima di “Allegro”, rilettura in chiave metal della Sinfonia N° 10 di Dimitri Schostakowitsch. Non penso serva aggiungere altro, se non un paio di considerazioni… Ci si scervella ogni giorno con nuove teorie su come il metal possa evolvere e rinnovarsi, e si va a finire sempre sui soliti 3-4 nomi squallidi e che oltre tutto ben poco hanno a che fare con la nostra amata musica (chi ha detto nu metal? chi ha detto metal core?), quando invece basterebbe dare il giusto peso a dischi come questo e sarebbe molto meglio… La seconda è che per quanto mi riguarda “Lurking fear” si candida di diritto a top album per questo 2007 ormai agli sgoccioli, e dubito che in questi tre mesi rimasti esca qualche cd che possa farmi cambiare idea…
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