Fino a che punto può spingersi l'evoluzione di un gruppo partito dal black metal? I norvegesi Manes tentano di ridefinire ancora una volta questo concetto con un album talmente fuori dagli schemi che sono sicuro dividerà esattamente a metà buona parte degli appassionati del genere. Che lo consideriate un capolavoro o una cagata pazzesca, due considerazioni vanno fatte nel totale rispetto del lavoro di questi eclettici musicisti.
Innanzitutto è notevole la ricerca sonora compiuta anche questa volta dalla band di Trondheim, che non si è limitata ad elaborare le tendenze trip hop presenti sul precedente "Vilosophe" ma ha accentuato la componente elettronica arrivando ad inglobare addirittura partiture rap (!) grazie alla collaborazione con artisti della scena internazionale.
Tuttavia, durante l'ascolto, si ha l'impressione che qualcosa non sia a posto... forse il tutto suona un po' disomogeneo e rischia di disorientare chi non sia avvezzo a simili sperimentazioni. Numerose canzoni sono in realtà anticanzoni, mi verrebbe quasi da dire 'esercizi di stile' per dimostrare un'eclettica evoluzione che in realtà risulta forzata e fuori luogo. Sarà che magari sono io a non essere predisposto ad accettare questo ennesimo camaleontico cambio di pelle, che ha spostato definitivamente i Manes dall'ala proiettiva del metal, ma ho trovato alcuni pezzi semplicemente impossibili da digerire. Alla fine, tra divagazioni ambient e sonorità acide, ho addirittura gradito di più il rap francese di "Come To Pass" e per me questo è completamente atipico.
Non dico che sia tutto da buttare, anzi come sempre gli spunti interessanti ci sono, ma sono troppo sparpargliati durante i tre quarti d'ora di durata del disco per riuscire a catturare la mia attenzione. "The Cure-All", ad esempio, parte bene in stile "Vilosophe" ma si perde nella noiosa parte centrale.
Il Senza Voto finale riflette la mia incapacità nel riuscire a capire quest'album, che segna probabilmente un nuovo corso nella carriera del talentuoso gruppo norvegese.
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