Spiazzati tutti quanti con la virata di Somewhere In Time, i
Maiden tornano parzialmente sui propri passi, riuscendo stavolta a conciliare decisamente meglio l’evoluzione del sound con il proprio marchio di fabbrica, facendosi pesantemente influenzare dagli anni ’80 in pieno svolgimento ma riuscendo a mantenere una fortissima identità.
Già da
Moonchild è chiaro che il tiro è stato aggiustato, favorendo melodia e immediatezza a scapito del tentativo di stupire a tutti i costi. Ecco così ricomparire i capolavori da cantare a squarciagola, come
The Evil That Man Do, Can I Play With Madness e
Only The Good Die Young, oltre ai pezzoni carichi di gloria come la title-track e
The Clairvoyant, oltre all’eterea
Infinite Dreams.
Un disco che ci aiuta a comprendere la grandezza dei Maiden, perché rappresenta l’ennesima prova compositiva maiuscola e molto matura. Settimo album di sette tutti diversi e tutti da avere.
Credo che nessuno avrebbe mai potuto chiedere di più a Steve Harris e soci.