I più giovani, probabilmente, non hanno la percezione completa di cosa abbiano rappresentato i
Running Wild dai primi anni 90 fino alla seconda metà del decennio.
Non che antecedentemente, e mi riferisco ad album fantastici come “
Under Jolly Roger” o “
Death Or Glory”, non si fossero già affermati con merito presso il pubblico metal, ma la situazione era nettamente differente.
Negli 80’s il metal stava al potere, tuttavia, in seguito all’esplosione del grunge, il genere passa decisamente all’opposizione, anzi viene relegato in un angolino minuscolo. Per la serie: state lì, continuate pure a fare la “vostra” musica per il “vostro” pubblico di nostalgici, ma scordatevi esposizione mediatica ed investimenti mirati.
Il denim & leather non va più di moda, ora ci vogliono camicie di flanella e canzoni “ciondolanti”, con testi introspettivi ed ancor meglio autodistruttivi. Ovviamente la faccio breve, eppure vi assicuro che non mi discosto molto dalla realtà dei fatti dell’epoca.
I gruppi “di serie A” si trovano spiazzati, le arene gremite si tramutano in teatrini mezzi vuoti, e coloro che rimangono stilisticamente impermeabili al “cambiamento climatico” si contano sulle dita di una mano.
I punti di riferimento cambiano, ed è così che gruppi fino ad allora considerati di nicchia come i pur valorosi Running Wild si ritrovano sulle spalle il peso di un intero movimento storico. Non so se sia un caso, una coincidenza, oppure un “senso di responsabilità” metabolizzata, ma
Rock’n’Rolf e la sua combriccola tirano fuori dal cilindro almeno un paio di capolavori assoluti che li catapultano nella ristretta cerchia degli “intoccabili”.
Infatti, dopo il pur bellissimo “
Blazon Stone” (1991), l’anno successivo arriva quella bomba che risponde al nome di “
Pile Of Skulls”. La formazione che affianca il leader
Rolf Kasparek è la migliore di sempre, ovvero
Axel Morgan alla seconda chitarra,
Thomas Smuszynski al basso e
Stefan Schwarzmann alla batteria.
Aperto dalla tenebrosa “
Chamber Of Lies”, il disco parte a razzo con la velocissima “
Whirlwind”, caratterizzata da corposi intrecci di chitarra, linee vocali riottose, ed un lavoro di batteria semplicemente devastante.
I Running Wild non sono tuttavia soltanto “doppia cassa e pedalare”, il background Thin Lizzy/Iron Maiden si fa sentire eccome in cadenzati come “
Sinister Eyes” o “
Black Wings Of Death”, ed è questo il trademark principale che differenzia la creatura di Rock’n’Rolf da tanti altri colleghi di settore.
Se “
Fistful Of Dynamite” e “
Lead Or Gold” (pure in quest’ultima il fantasma di
Phyl Lynott, ovviamente aggiornato e contestualizzato, aleggia benevolo) sono delle tipiche cavalcate da concerto, la title-track è una pazzesca fucilata speed, dove chitarra e batteria corrono a briglia sciolta.
Il testo scritto da Kasparek è roba da “cospirazione” ante-litteram, tematiche che verranno ulteriormente trattate, e con dovizia di particolari, soprattutto nell’esplicito “
Masquerade” (1995).
Il tour de force del disco viene logicamente lasciato per il gran finale di “
Treasure Island”, una lussureggiante metal suite che espone, sia musicalmente che dal punto di vista lirico, tutte le suggestioni “piratesche” tanto care al gruppo.
Dura scegliere un solo album nella foltissima storia dei Running Wild, ma “Pile Of Skulls” ha tutte le caratteristiche per condensarne carisma e personalità stilistica.