Anno domini 1996: i
Napalm Death stanno attraversando il loro periodo sperimentale, inaugurato in maniera sostanziale nel 1994 con
Fear, Emptiness, Despair, un album su cui aleggiano sospette influenze Industrial, eppure così ricco di fascino e di personalità, proprio come si conviene a quelle band che i generi e i trend li lanciano, per poi mantenerli e farli crescere.
Diatribes viene pubblicato nel corso del 1996 e in qualche maniera fa riavvicinare quella parte di fan che si stava distaccando dal gruppo, soprattutto quelli cresciuti e pane e Grindcore. Già dall'iniziale Greed Killing e dalla seguente Glimpse Into Genocide si può avvertire un maggiore uso delle chitarre e dell'aggressività come via di sfogo, ma non è in queste canzoni che i Napalm Death concentrano i loro sforzi artistici, bisogna rivolgersi a brani come Cold Forgiveness oppure My Own Worst Enemy per capire come la voglia di sperimentare non sia stata domata del tutto. I tempi e le ritmiche si dilatano, si da spazio a soluzioni che pur restando brute e dirette hanno un qualcosa di psichedelico, di difficile catalogazione. A detta dello stesso Shane Embury tutti i membri dei Napalm Death non disdegnano i generi di frontiera, come potrebbe essere l'Elettronica o l'Industrial, e si sente, senza per questo andare a pescare da inutili marchingegni sintetici. Con il solo utilizzo degli strumenti tradizionali la band sa disegnare paesaggi sonori grigi e disagiati, tanto per citarne altre tre chiamo in causa Just Rewards, Placate, Sedate, Eradicate e Take The Strain, tracce dove il riffing si spezza, dove le ritmiche evitano blastbeat disumani e le vocals se pur profonde e gutturali possiedono un qualcosa di più aperto e accessibile. Diatribes è un cd che ad un primo ascolto potrebbe disorientare, soprattutto se si viene da capolavori dell'estremo come Scum o From Enslavement To Obliteration, eppure a suo modo anche questo capitolo discografico è malato di violenza.
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