Negli ultimi anni, dopo l'esplosione del black in Norvegia, numerose band provenienti da tutta l'Europa hanno offerto il "guanto di sfida" ai padri fondatori del genere, cercando sempre se possibile di gettare il sasso un pochettino più in là, nella speranza di riuscire a conquistare anche una fettina dell'inflazionatissimo mercato. Ma nel 2002 ormai è difficile proporre qualcosa di nuovo... quasi tutte le strade sono ormai state tentate, e l'unica possibilità di farsi notare è quella di scrivere delle belle canzoni, una credenziale valida sempre e comunque. I Meridian vengono dalla Svizzera (come i Samael, che tanta innovazione ci mostrarono nei seminali "Passage" ed "Eternal") proponendoci la solita miscela di black sinfonico, tastiere bombastiche e un approccio moderno e originale, nei limiti del possibile. La voce in esclusiva solo per quest'album è quella di Jack D Ripper, che tutti ricordiamo alle prese con i suoi pazzoidi Morgul, e purtroppo non ho mai apprezzato questo artista perciò anche la prima impressione non è stata delle migliori. Proseguendo con l'ascolto non sono riuscito neanche per un istante a scrollarmi di dosso la sensazione di già sentito e soprattutto quella più spiacevole dell'assoluta inutilità di questo lavoro. Per carità: "The Seventh Sun" è ben suonato, ben prodotto dallo stesso individuo che ha curato album dei Carpathian Forest e dei Tristania, e se vogliamo anche abbastanza vario e interessante... ma purtroppo resta sempre e comunque un superfluo esercizio portato a termine con mediocrità. I termini di paragone sono sempre i soliti Dimmu Borgir e Satyricon nella loro accezione più moderna, e in questo caso tocca proprio dirlo: i "mostri sacri" del black metal cambiano genere, si evolvono, si modificano praticamente ad ogni nuova uscita, ma qualsiasi imitatore, anche dei più motivati e preparati, non riesce in ogni caso a raggiungere quelle vette! I Meridian si fermano a poco più di metà della salita, tornando indietro accompagnati dalla stessa indifferenza con cui erano partiti.
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