Nile - Black Seeds Of Vengeance

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Info

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Anno di uscita:2000
Durata:43 min.
Etichetta:Relapse

Tracklist

  1. INVOCATION OF THE GATE OF AAT-ANKH-ES-EN-AMENTI
  2. BLACK SEEDS OF VENGEANCE
  3. DEFILING THE GATES OF ISHTAR
  4. THE BLACK FLAME
  5. LIBATION UNTO THE SHADES WHO LURK IN THE SHADOWS OF THE TEMPLE OF ANHUR
  6. MASTURBATING THE WAR GOD
  7. MULTITUDE OF FOES
  8. CHAPTER FOR TRANSFORMING INTO A SNAKE
  9. NAS AKHU KHAN SHE EN ASBIU
  10. TO DREAM OF UR
  11. THE NAMELESS CITY OF THE ACCURSED
  12. KHETTI SATHA SHEMSU

Line up

  • Karl Sanders: guitar, vocals
  • Dallas Toler-Wade: guitar, vocals
  • Chief Spires: bass, vocals
  • Derek Roddy: drums

Voto medio utenti

Il 5 Settembre del 2000 i Nile davano alle stampe “Black Seeds Of Vengeance”, un disco nel quale, affilando le armi e mettendo a frutto l’esperienza del debutto “Amongst The Catacombs Of Nephren-Ka”, la band compiva il capolavoro che l’avrebbe consacrata nell’olimpo della musica estrema di ogni tempo.
Chiariamo subito che questo non è il disco più estremo, più veloce, meglio suonato e meglio prodotto della band, eppure è il disco che per via del momento storico nel quale esce e per via di tutte le componenti compositive, liriche e musicali, resta ineguagliato nella discografia della band, sebbene dischi come “In Their Darkened Shrines” e “Annihilation Of The Wicked” per certi versi gli siano superiori.
Prima dei Nile esisteva il Brutal Death Metal che era sinonimo di musica brutale non solo dal punto di vista musicale, ma anche dal punto di vista lirico. Il gore, lo splatter, l’anatomia patologica erano i temi fondanti del genere. Qualche band (gli Immolation per esempio) si spingeva verso tematiche religiose, tra ateismo e satanismo (Incantation), ma con i Nile la cultura, quella vera, irrompe nel brutal death metal, non solo dal punto di vista lirico, ma anche musicale.
Se nel debutto la componente folk mediorientale era piuttosto slegata dall’orgia sonora, in “Black Seeds Of Vengeance” la commistione diventa fusione, inscindibile, creando un sound che ha quali tratti peculiari il suo essere mastodonticamente brutale ed epico, oscuro ed evocativo, al punto che si viene trasportati davvero ai tempi dell’antico Egitto. È vero folk/brutal death metal, gli strumenti antichi non fanno da contorno, ma spesso costituiscono elementi imprescindibili della struttura compositiva delle canzoni.
Persino la produzione, assolutamente non perfetta e pulita, dona quel quid pluris di brutalità ed oscurità al disco, rendendo cupe e downtuned le composizioni.
Ma veniamo al disco.
Dopo un breve intro fa irruzione la maestosa title-track, brutale e devastante, con Karl Sanders che sciorina una prestazione assoluta, al pari degli altri musicisti, tra i quali si mette in mostra Derek Roddy, reclutato come session drummer per via di un problema alla cuffia dei rotatori (spalla ) del drammer originale, Peter Hammoura. Il refrain finale è assolutamente epico e solenne.
Defiling The Gates Of Ishtar” non è da meno, la band mostra una perizia tecnica, una capacità di andare veloce (ascoltare gli assoli please), ma al tempo stesso di suonare brutale e variegata, che è invidiabile. Anche qui gli inserti di musica egizia, e i cori solenni, sono azzeccati e preludono a stacchi di mostruosa intensità.
Il disco è una lezione di intensità, la quale non diventa mai cacofonia, anche grazie agli intermezzi acustici, come “Libation Unto The Shades Who Lurk In The Shadows Of The Temple Of Anhur”, o a pezzi dall’incipit più meditato come “The Black Flame”.
Il meglio di sé, tuttavia, la band lo esprime in pezzi come “Masturbating The War Gods”, una vera e propria sinfonia dell’estremo, inarrestabile e incontenibile nel suo alternare parti dal groove animalesco e pulsante e accelerazioni al fulmicotone.
Dal punto di vista lirico è chiaro che dietro i testi della band c’è una profonda conoscenza della mitologia egizia con storie spesso tratte dal “libro dei morti”, ma l’egittologia non è l’unica fonte di ispirazione dei Nile, l’altra essendo H.P. Lovecraft, qui omaggiato con “The Nameless City Of Accursed”.
I risvolti lirici trovano compimento nella suite “The Dream Of Ur”, canzone per la quale i maggiori compositori di colonne sonore potrebbero arrivare ad uccidere, e nella conclusiva “Khetti Satha Shemsu”, una vera e propria invocazione rituale nella quale presta la propria voce, come guest, Ross Dolan degli Immolation.
Black Seeds Of Vengeance” è il disco death metal che tutti dovrebbero avere, un disco che dispiega i suoi effetti nel momento in cui si spegneranno le note dell’ultima traccia, perché da quel momento le suggestioni di cui il disco è permeato vi spingeranno alla ricerca dei riferimenti musicali, lirici e culturali alla base del disco.


Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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