Meliah Rage - The Deep And Dreamless Sleep

Copertina 6

Info

Anno di uscita:2007
Durata:36 min.
Etichetta:Locomotive
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. PERMANENTLY DAMAGED
  2. GOD AND MAN
  3. UNDEFEATED
  4. THE DEEP AND DREAMLESS SLEEP
  5. TWISTED WRECK
  6. CURSE
  7. LAST OF THE WANTED
  8. TAKE WHAT YOU WANT

Line up

  • Paul Souza: vocals
  • Anthony Nichols: guitars
  • Jim Koury: guitars
  • Darren Lourie: bass
  • Stuart Dowie: drums

Voto medio utenti

Avevo "perso" gli statunitensi Meliah Rage sul finire degli Eighites, ai tempi del loro debutto "Kill to Survive" (1988), del successivo MLP "Live Kill" ('89) e di "Solitary Solitude" ('90). Quella che all'epoca era una valida ed interessante Power/Thrash band (vero Fabri?).
Li ritrovo ora, ormai al loro sesto full lenght ma senza lo storico Mike Munro al microfono. Il suo sostituto è il discreto Paul Souza, subentratogli in occasione di "Barely Human" (2004), a questo punto l'unica novità in formazione, visto il recente rientro del drummer originale Stuart Dowie.
"The Deep And Dreamless Sleep" mi riconsegna una formazione quadrata, mai lanciata a velocità folli, caratterizzata da un cantato possente e declamatorio piuttosto che arrabbiato ed aggressivo. Parecchi gli echi dei Metallica (l'accoppiata iniziale "Permanently Damaged" e "God And Man", ma pure "Curse" e la conclusiva "Take What You Want"), sopratutto quelli del periodo "Black Album".
Se "Undefeated" ha un buon rifferama ed allo stesso tempo qualcosa dei Testament e dei Rage vecchia maniera, "The Deep And Dreamless Sleep", dopo un'introduzione in crescendo alla Slayer, si rivela un brano contorto in grado di passare da momenti rabbiosi ad altri più melodici ma pedanti, e si segnala come un episodio non particolarmente riuscito. Non convincono nemmeno la seguente "Twisted Wreck", scattante e dalle aspirazioni pseudo moderniste ed il malinconico mid-tempo "Last Of The Wanted", dove sembra affiorare l'influenza da parte del grunge.
A dispetto di un'eccessiva monoliticità, come pure di qualche citazione di troppo, che serpeggia lungo la tracklist, bisogna riconoscere ai due chitarristi storici del gruppo, Anthony Nichols e Jim Koury di aver fatto un discreto lavoro, e, sempre a riguardo dei singoli, anche Paul Souza, di là dalle differenze stilistiche con Mike Munro, se la cava piuttosto bene. Eppure a livello "d'assieme" manca ancora qualcosa...
Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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