Per dovere di cronaca preciso che questo cd è giunto da pochissimo tempo nelle mie mani, pur essendo stato pubblicato addirittura nel 2001!!
Quindi sono circostanze indipendenti dalla mia volontà che hanno reso questa recensione purtroppo obsoleta. Comunque sia, il chitarrista dei Wounded Knee Fabrizio Bonanno ha dato vita al progetto Equiseti per dare sfogo alla sua passione per il prog-rock, sia nella sua concezione romantica settantiana sia in quella più moderna metal-sinfonica. Nasce così “Il rito”, lavoro eterogeneo che accorpa pregi e difetti di questo stile musicale. Tutto ruota intorno alla chitarra di Fabrizio, musicista dotato ma talvolta incline a riempire ogni spazio con qualche narcisismo di troppo, slanci barocchi che spesso tolgono forza ai brani diluendo la magia evocativa che è sale del genere. Basti vedere il trattamento riservato al dolce duetto pianistico-acustico “Le valli perdute”, spalmato inutilmente in sette estenuanti minuti che per un brano d’interludio sono francamente troppi. Quando invece la band sceglie la strada della semplicità è in grado di tirare fuori assi come la trascinante “Nerone” o il cameo elettroacustico “Il bosco”, prog operistico dedicato alla natura, che trasportano indietro nel tempo all’epoca nella quale il progressive rock in Italia si chiamava P.F.M. o Balletto di Bronzo, sulle ali di un cantato nella nostra lingua estremamente efficace. Aggiungiamo la corposa “Wayana”, aperta e chiusa da incisi dal flavour sudamericano in odor di vecchio Santana, e sorgono spontanee due considerazioni: la rivincita inaspettata del nostro idioma su quello anglosassone e la conferma che ogni volta in cui musicisti preparati ed intelligenti riprendono le tematiche proprie delle migliori formazioni anni ’70 il risultato è sempre largamente positivo.Altri episodi di rilievo sono lo strumentale più contemporaneo “Wind of freedom” che vede una parziale contaminazione dovuta all’uso di strumenti del folklore popolare (palo della pioggia, calimba, salterio, ecc.), cosa piacevole anche se un po’ arbitraria e troppo limitata per poter parlare di etno-prog (?), e la contenuta “Freak out” anch’essa attraversata da un atmosfera piacevolmente retrò. Il resto cade, come detto, nel filone del prog-metal moderno come sempre abbondante di fughe autoindulgenti che esaltano la tecnica ai danni del mordente e dell’incisività. “Il rito” è nel suo complesso un buon lavoro, numerose canzoni eccellenti e qualche zona d’ombra, e dimostra ancora una volta che in questo settore i gruppi italiani sono assolutamente competitivi. Sarei comunque curioso di sentire gli Equiseti alle prese con un lavoro esclusivamente immerso nelle fondamenta seventies e totalmente cantato nella nostra lingua. Sono convinto che sarebbe un successo.
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