Copertina 8,5

Info

Past
Genere:Prog Rock
Anno di uscita:1989
Durata:52 min.
Etichetta:Atlantic

Tracklist

  1. SHOW DON'T TELL
  2. CHAIN LIGHTNING
  3. THE PASS
  4. WAR PAINT
  5. SCARS
  6. PRESTO
  7. SUPERCONDUCTOR
  8. ANAGRAM (FOR MONGO)
  9. RED TIDE
  10. HAND OVER FIST
  11. AVAILABLE LIGHT

Line up

  • Geddy Lee: bass, vocals
  • Alex Lifeson: guitars
  • Neil Peart: drums

Voto medio utenti

“Presto” è il tredicesimo studio album dei canadesi Rush, pubblicato a fine 1989 per la Atlantic, dopo anni di militanza presso la Mercury, con la quale si decide di non rinnovare il contratto e la collaborazione iniziati nel 1974. La registrazione viene effettuata nel collaudatissimo Le Studio di Toronto, dove i tre avevano trovato la situazione ideale di relax per comporre e registrare da “Permanent Waves” (1980) in poi. Nello studio casalingo, che permette ai Rush anche di essere più vicini alle famiglie quando non sono in tour, la pace però dura poco. Troppo forti le tensioni creative e personali che animano Alex Lifeson, Geddy Lee e Neil Peart, sempre pronti a sperimentare e a provare nuove strade. Troppo decisionisti Geddy e Neil, che finiscono col mettere involontariamente in discussione l’apporto di Alex, più accomodante e meno perfezionista, musicista meno tecnico (parliamo comunque di un mostro, intendiamoci) e più emotivo dei tre. I dischi che precedono “Presto” sono magnifici, ma si muovono in un territorio di esplorazione che si allontana gradualmente ed inesorabilmente dal rock: è noto che la chitarra fatichi a trovare spazio nel mare di tastiere su cui Geddy Lee preferisce comporre ed esprimersi in quegli anni. Così come diventa un problema la costante e asfissiante presenza in studio degli altri due ad osservare (e innervosire) il buon Lifeson, che si sente giudicato e sempre meno in linea col nuovo corso, al punto che in fase di registrazione le sue performance sulla chitarra arrivano a risentirne.

Questo è il contesto in cui nasce la musica di “Presto”, che vuole essere, nell’intento del gruppo, una reazione all’invasione di tecnologia e sequencer, che dominano i dischi precedenti, e decretare un ritorno al rock, dopo un lungo cammino percorso ai confini del synth-pop. Il gruppo pare capire (arrivandoci da sentieri e per motivazioni differenti per ciascuno dei tre) che il capitolo “delle tastiere” nella carriera dei Rush è stato sviscerato a sufficienza e che la chitarra deve ritornare ad avere un ruolo centrale nelle composizioni e nella struttura dei brani. Unica costante irrinunciabile resta lo spessore e la qualità dei testi di Neil Peart, senza dei quali un album dei Rush non sarebbe di certo lo stesso.
All’arduo compito di coordinare il gruppo in tutto questo lavoro, viene chiamato Rupert Hine, che sarà co-produttore dell’album. Le intenzioni sono ottime, le idee chiare da parte di tutti, ma diciamo subito che non tutti gli obiettivi verranno centrati: il trucco di magia evocato dal titolo (“Presto” è più o meno traducibile in “Et-voilà”) riesce solo in parte.
La mano del produttore si sente in tante delle scelte (e in qualche compromesso), dunque nel bene e nel male: è lui che parte dal presupposto che “uno dei pochi power trio chitarra-basso-batteria ancora esistente sul pianeta” non possa abdicare all’invadenza e alla preponderanza dei synth e che il gruppo abbia bisogno di tornare all’approccio compositivo originario. Certo, la tastiera non scompare, ma viene piuttosto dosata maggiormente. Traspare qualche timore di troppo (oserei dire la disabitudine) a lasciare qualche vuoto salutare all’interno dei brani, che non necessita a tutti i costi di essere riempito. È sempre lui a convincere Geddy Lee a cambiare tonalità e a cantare un’ottava più bassa, in modo meno sforzato; è lui a recuperare lo smarrito Lifeson e a organizzargli un nuovo metodo di lavoro, meno basato sull’improvvisazione delle parti di chitarra, spingendolo a provare in disparte e a registrare, per poi scegliere e rieseguire in forma più compiuta quanto suonato in modo più sciolto e disinvolto, lontano dall’occhio vigile degli altri due bandmates.
Ma è lui, a mio parere, a non spingere sull’acceleratore fino in fondo, accontentandosi di aver restituito una quadratura alla band, senza soffiare sulla scintilla per far divampare il fuoco, facendo di “Presto” un disco di hard rock sofisticato, bellissimo, ma che suona a tratti contenuto ed addomesticato. Stiamo parlando di livelli qualitativi alti, che in tanti arrivano giusto a sognare, ma durante l’ascolto ho spesso questa sensazione che si potesse aumentare il gain dell’amplificatore fino a 10, senza paura di disturbare i vicini. La registrazione stessa, pur essendo frutto di un lavoro impeccabile in fase di riproduzione del dettaglio, conferisce al suono un timbro cristallino e raffinato, che finisce per svuotare il corpo del basso e assottiglia troppo le chitarre pulite di ritmiche e arpeggi. Fisime di un fan troppo puntiglioso, non me ne vogliate.

A volte può sembrare eccessivo criticare dischi di tale fattura, ma chi non vorrebbe dai propri idoli l’immutabilità della perfezione? E alla perfezione con “Show Don't Tell” e “Chain Lightning” per i miei gusti ci si va dannatamente vicini, l’ uno-due iniziale è di quelli a presa rapida, in cui le doti del trio sono messe in bella mostra istantaneamente. I gustosi ingredienti a cui i Rush ci hanno abituato ci sono tutti: maestria esecutiva, potenza, melodia, ritmi ricchissimi e vari, tutto funziona in perfetto rodaggio. Le tracce 3, 4 e 5 rappresentano la lunga parentesi intimista del disco. “The Pass”, sostenuta da accordi di basso incisivi, da una batteria che sembra mettersi letteralmente in moto, bilanciati da chitarre e tastiere più rarefatte, affronta il tema del suicidio con parole delicate, appassionate e del tutto prive di scontate banalità. “War Paint”, che musicalmente è fra quelle che meno mi piace, sembra presa da “Power Windows” (1985), ma non possiede né il tiro né il respiro dei brani contenuti in quel capolavoro. A tenerla a galla è lo splendido testo, che termina come un inno, un invito a “colorare lo specchio di nero” a non “mistificare presunzione per orgoglio / ambizione per illusione” a non essere schiavi dell’aspetto esteriore che vogliamo dare a tutti i costi. Temi difficilmente rintracciabili nei dischi rock, sono sicuro di averlo scritto e ripetuto più volte in altre occasioni. “Scars” prende a pretesto il racconto del viaggio in Africa di Neil nella pianura del Serengeti, per dare vita ad un brano notturno dal ritmo e dalle atmosfere davvero insolite per i Rush: il pattern di batteria è un misto di tamburi acustici ed elettronici, che diventerà parte integrante del drum-solo eseguito in sede live. Decisamente lontano dai lidi dell’hard rock, ma di grande effetto.
“Presto” e “Superconductor” si fanno apprezzare per i toni più leggeri, sono sempre state fra le mie favorite; nella prima fa capolino una chitarra acustica dinamica e coinvolgente, nella seconda il trio da vita ad un hard rock di classe, energico, con l’elettrica di Alex finalmente più aggressiva. “Anagram (for Mongo)” ha uno dei più bei ritornelli ideati dalla premiata coppia Lee/Lifeson, decorato e impreziosito dai giochi di parole promessi nel titolo, ma contiene delle parti di piano che ho sempre odiato e che in sede di produzione avrei stralciato dalla canzone senza pietà. Anche “Red Tide” (dai temi ambientalisti nel testo) ci riporta indietro nel recente passato della loro discografia, mostrando echi di “Grace Under Pressure” (1984) senza replicarne i fasti. Come detto per “War Paint”, da questo gruppo esigo di più. Con “Hand Over Fist” si torna agli eccellenti livelli di inizio album; il brano gioca sapientemente sulle tensioni e sui cambi di tempo e vanta uno dei riff che preferisco in assoluto nella lunga carriera dei Rush. “Available Light” chiude gradevolmente con atmosfere che mi ricordano persino i Marillion (nella parte del brano che ospita il bellissimo solo di Alex).

Leggendo qua e là in rete, percepisco che per molti “Presto” è un album di passaggio, che serve solo a dare un ulteriore segnale di vita e di vitalità di questo grande gruppo, in piena transizione. Per me questo è un gran bel disco (e comunque ogni “passaggio” dei Rush è degnissimo di nota), nato fra qualche tensione di troppo e mal pilotato da Rupert Hine. Ogni volta che lo ascolto, non riesco a liberarmi dall’impressione dell’occasione sprecata, dell’assenza di qualche colpo ad effetto, di un qualcosa che doni all’album quel quid in più, che sembra sempre essere lì lì per manifestarsi e poi si ritrae. Sta di fatto che “Presto” ha il merito di coniugare perfettamente grande fruibilità e grande qualità: le canzoni contenute in questo disco si fanno apprezzare e cantare a piena voce (un’ottava sotto, come consigliato da Hine, mi raccomando).

A cura di Ennio “Ennio” Colaninno
Recensione a cura di Ghost Writer

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 16 nov 2014 alle 12:26

Eh eh, sapessi quanto mi è costato mettere meno di 10 ai miei tre campioni. Grazie come sempre dei commenti incoraggianti!

Inserito il 16 nov 2014 alle 09:46

L'inizio della quarta era dei Rush, disco che ho letteralmente consumato da giovane ( ne possiedo ancora la first press), prima dell'era di internet ho sempre pensato fosse uno dei capolavori del trio, poi con la rete ho visto che invece e' uno dei dischi meno apprezzati, per me rimane un capolavoro, se uscisse oggi si griderebbe al miracolo. Ennio for President!!!!

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