Al ritorno dopo 4 anni di silenzio, i tedeschi Poverty's No Crime provano a reinserirsi nella scena prog metal europea, ma la concorrenza è spietata. Vanden Plas, Sieges Even, Threshold, Circus Maximus, Pagan's Mind nel frattempo hanno conquistato le simpatie di fans e critici, meglio quindi affidarsi ad un produttore come Tommy Newton (Ark, Conception, Redemption) che smorza la componente prog metal della band con un sound più rozzo e linee vocali aggressive e più melodiche inserite in strutture accessibili. La maggior incisività delle chitarre si fa sentire nell'hard prog di "Open your eyes" e "Save my soul", ma è con il melodic power dalla ritmica accelerata di "End in sight" che il disco decolla e trova il giusto bilanciamento tra chitarre e tastiere. Molto riuscita la ballad "The key to creativity" in cui passaggi di chitarra acustica e piano si combinano a melodie corali e raffinate, sottili orchestrazioni e rimandi pinkfloydiani ("High Hopes"), sorprendente per originalità anche "In the wait loop", mix di prog metal e prog anni '70 dove le tastiere sintetizzate si alternano a quelle più vintage (presente un altro omaggio del chitarrista Marco Ahrens allo stile di David Gilmour). Ritmica molto incisiva, quasi arabeggiante e qualche rimando a "Pull me under" e ai Fates Warning di "Pefect simmetry" (un guitar solo alla "Nothing left to say") in "The torture", hard song dal refrain cupo e cadenzato che lascia il posto ai 6 minuti della strumentale "Spellbound", il ritorno a melodie più orecchiabili e corali è garantito con "From a distance", rock dalla grande carica energica (un must da includere nei live) che include un intermezzo strumentale dove ritornano le atmosfere prog settantiane combinate con quelle prog metal, eccessivi invece i 9 minuti di "Breaking the spell" introdotti da una corposa parte strumentale a metà tra il prog metal e la NWOBHM, la melodia portante della prima parte torna però a ripetersi per filo e per segno nella seconda dopo 2 minuti di intermezzo strumentale. Un disco che non convince in pieno: la componente hard melodica prevale su quella prog, il cantato di Volker Walsemann è meno pulito rispetto ai precedenti 5 dischi e le strutture dei primi 4 brani (inutile l'intro di 30 secondi, e dire che è pure incluso nella setlist) sono praticamente simili, ma la sufficienza è garantita da "The key to creativity" e "In the wait loop".
Molto meglio andarsi a riascoltare "Slave to the mind" ricordando ai Poverty's No Crime che in più di 10 anni di carriera non sono ancora riusciti a far breccia tra i grandi del prog metal.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?