Volete la cruda “verità”? Ebbene, questo nuovo disco solista di Gary Hughes mi sembra una piccola occasione persa. E non a causa dell’Hughes cantante, dacchè la sua voce è come sempre espressiva, emozionante e versatile, e, tutto sommato, nemmeno dell’Hughes songwriter, dal momento che il pastiche di hard melodico e AOR, che ammicca talvolta a soluzioni accostabili al techno-pop anni 80’, appare complessivamente gradevole e coinvolgente (anche se ho dei forti dubbi che si tratti di canzoni “among the strongest I have ever written in my lifetime”, com’è arrivato a definirle il buon Gary, in un presumibile slancio “promozionale” un po’ troppo entusiasta!).
L’ambito in cui il singer dei Ten pecca nel suo “Veritas” è quello produttivo, il quale soffoca e opprime l’efficacia di brani anche piuttosto riusciti, soprattutto una volta che si supera il modesto senso di “fastidio” (ma in questo caso si tratta davvero di una questione di gusto squisitamente personale) che l’uso abbastanza frequente della batteria elettronica induce in quegli ascoltatori che, come il sottoscritto, perlomeno quando si parla di discendenze “adulte”, prediligono (a parte rari casi!) un’esclusiva presenza “umana” dietro i tamburi.
Immaginate cosa avrebbero potuto essere la robusta ed adescante “Veritas”, gli egregi FM-rock “See love through my eyes”, “Wide awake in dreamland” e “The everlasting light”, la frizzante “The emerald sea” o ancora lo slow in pieno ardore Coverdale-iano “All I want is you”, con una produzione ed una resa sonora all’altezza della situazione e non potrete che convenire con me che quest’album delude e indispone proprio per quello che avrebbe potuto (e “dovuto”, visti gli standard medi a cui siamo ormai abituati) essere e invece non è stato.
Certo altrove, vuoi per un’ispirazione leggermente meno brillante, vuoi per scelte espressive probabilmente non unanimemente condivisibili da tutti i suoi “storici” fans (anche se a me il “sorprendente” ibrido Simple Minds/Billy Idol delineato in “I pray for you” o il pop-rock sintetico denominato “Strange” non dispiace affatto!), il platter perde un po’ di smalto e di consistenza, ma anche in questi casi il livello compositivo si dimostra più che dignitoso.
Nella difficile valutazione finale, non mi rimane che chiedere aiuto “all’odiata” matematica: vocals da 8, canzoni giudicabili nell’insieme con un 6.5, produzione da 5 … la “fredda” media è, se non sbaglio, 6.5 … solamente, lasciatemi aggiungere.
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