FOR THOSE ABOUT TO ROCK ...
Gli Astral Doors continuano nel loro viaggio tra le stelle, "là dove altri saranno pure arrivati prima di loro", ma anche con il loro quarto album questa formazione svedese dimostra di avere una marcia in più. Forse due.
La loro avanzata prosegue, infatti, trionfale tra sonorità Heavy Metal e Hard Rock, e con un così strepitoso Nils Patrik Johansson (lo ricordiamo anche con Wuthering Heights e Lion's Share) non poteva essere altrimenti. E gli Astral Doors partono subito in quarta con la titletrack, "New Revelation", energica e con un refrain coinvolgente, dove per la prima volta si fa sentire, sopratutto a livello di guitarwork, anche l'influenza degli Iron Maiden, che si aggiungono ai "soliti" numi tutelari del gruppo: Rainbow, Deep Purple e Black Sabbath. Non mollano certo la presa le seguenti "Freedom War" (e qui fanno capolino pure quegli "ohohoho" di stampo maideniano) ed una "Pentecostal Bound" scattante e smaccatamente seventies.
Come già avvenuto in occasione dei precedenti lavori, va sottolineato come non sia tutto merito del solo Nils Patrik Johansson, dato che anche gli altri musicisti si rendono autori di prestazioni d'altissimo livello. E questo vale pure per "Bastard Son", il brano d'atmosfera del disco (immaginate i Whitesnake più energici), sempre lontano dall'essere melenso e banale o l'evocativa "Waiting for the Master", dove Johansson sfiora vette che finora erano state toccate solamente da Ronnie James Dio.
Mika Itaranta (batteria) e Johan Lindstedt (basso) sono letteralmente devastanti su "Planet Earth", che ad un incedere decisamente aggressivo contrappone un refrain più arioso, un brano che dal vivo troverà certamente unanimi consensi. Sulla stessa linea di condotta si incanalano poi "Quisling", l'ottima "Cold War Survivor" (la mia preferita, dalle interessanti ed azzeccate intuizioni vocali), "The Gates of Light" (con qualcosa dell'ultimo Ozzy Osbourne) e la settantiana "Shores of Solitude", prima dell'ennesimo salto di qualità che giunge con la conclusiva "Mercenary Man". Introdotta dall'atmosferico e teatrale Hammond suonato da Jockim Roberg, quest'ultima canzone si rivela un potente ed epico mid-tempo che si riallaccia alla tradizione dei Black Sabbath (quelli degli anni '80) e del miglior R.J. Dio solista.
Una manciata di canzoni in grado di suscitare emozioni e rievocare quelle atmosfere a suo tempo assaporate e che sembravano poter essere andate perdute. Fortunatamente non lo erano.
... WE SALUTE YOU!