La sapiente combinazione tra voce femminile di grande capacità espressiva, melodie di facile digeribilità, chitarre “fisiche” e atmosfere malinconiche, ha mietuto importanti successi nelle vicende (relativamente) recenti del rock-rama internazionale ed anche la soluzione del gruppo assemblato “in laboratorio” è diventata una pratica sempre più ricorrente.
Gli Indigo Dying rappresentano il tentativo di far convivere queste due manifestazioni di diffusa popolarità, affidando alla splendida vocalità Gisa Vatcky e ad un team di ottimi musicisti dalla comprovata fama, una serie di composizioni che assorbono dai trionfi degli Evanescence (& C.) l’approccio melodico-gotico, ma sostituiscono quasi completamente la componente “modern metal” del tipico suono della band dell’Arkansas, con un’attitudine di pop/(hard) rock “classico”, decisamente più affine alle peculiarità della nostra vocalist d’origine cilena (il suo curriculum parla di collaborazioni con gente del calibro di Meat Loaf, Andrea Bocelli e Melissa Etheridge) e, se vogliamo, pure a quelle della Frontiers, l’etichetta che patrocina quest’esordio.
Nonostante i presupposti apparentemente non proprio “rassicuranti”, bisogna dire che l’esperimento è, dal punto di vista artistico, perfettamente riuscito, perché le canzoni sono ricche di passione, vitalità ed intensità e perché i musicisti sono non solo eccellenti, ma si sono calati “nella parte” con sorprendente disinvoltura, schivando in maniera abbastanza convincente il pericolo congenito di una fastidiosa “freddezza” interpretativa parecchio comune in questo tipo di cose.
E poi c’è la laringe della Vatcky straordinariamente emozionante e versatile, appetibile alle più svariate categorie d’ascoltatori, e ci sono i duetti con Michael Kiske (ascoltarlo è sempre un prezioso balsamo per l’anima!) e Mark Boals (di pregio anche la sua prova), che sembrano addirittura spronarla a fare ancora meglio, per sostenere cotanto paragone.
Quella che manca è, invece, una produzione davvero “esplosiva” (Fabrizio Grossi, in questo caso, non risulta completamente all’altezza della sua fama!), la quale avrebbe consentito un impatto ancora più epidermico a pezzi che sanno comunque essere intriganti, istantanei e suggestivi anche con questo suono leggermente opaco.
La scelta che si pone è ora quella di tenersi lontano da questo disco solo perché un po’ “furbescamente” tenta l’affermazione giocandosi delle carte assai “commerciali” oppure dargli quella chance che per me merita assolutamente, in virtù della sua notevole dignità musicale ed emozionale.
Scaltri, magari, gli Indigo Dying, ma anche molto capaci ed appaganti.
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