As long as Dismember lives, Death Metal will reign.
Basterebbe la firma di ogni dichiarazione, scritta o filmata, ad opera della band di Stoccolma per chiarire al meglio le intenzioni di questo nuovo album dei Dismember.
Eppure, in questo caso, non sarebbe abbastanza, ci sono troppe cose da mettere in luce per rendere giustizia ad uno dei migliori album della discografia di Matti Karki e soci.
Eh già, perché stiamo parlando proprio di questo, di uno dei loro lavori migliori, a discapito delle preoccupazioni iniziali, in primis l’abbandono dello storico batterista e fondatore Fred Estby che compariva sin dal debutto “Like an Ever Flowing Stream”.
Triplice aspetto da affrontare, in quanto Estby era sia batterista sia produttore sia songwriter… Iniziamo dalla batteria: il suo sostituto, Thomas Daun, già nei bravi Insision e nei Repugnant, è della nuova generazione di batteristi nordici. Ovvero, una macina. Tecnicamente avanti anni luce rispetto al buon Fred, di certo non fa rimpiangere, se non per carisma, il proprio predecessore.
Dal punto di vista della produzione onestamente i Dismember ci hanno guadagnato e parecchio. In effetti il punto debole da “Death Metal” in poi erano proprio le produzioni di Estby che suonavano a volte davvero troppo grezze e piatte; abbandonata la console, il suo posto è stato preso da Nico Elgstrand degli Entombed, a sottolineare la grande amicizia che ancora perdura tra i due prime movers del movimento death svedese, che ha fatto un ottimo lavoro, senza tuttavia arrivare all’eccellenza dello Skogsberg che fu: il sound è sempre aggressivo, a “sega elettrica”, ma allo stesso tempo molto più pulito e potente, pieno e bilanciato, insomma davvero un buonissimo risultato.
Terzo ed ultimo aspetto, ovvero il più importante, è quello prettamente musicale: purtroppo non sono in possesso dei credits dei singoli brani ma di sicuro questo lavoro possiede dei brani incredibili, migliori dei pur buoni “Where Ironcrosses Grow” e del recente “The God That Never Was”. La premiata ditta Karki/Blomqvist, aiutata o meno da Persson/Cristiansson/Daun, mette su una tracklist eccelsa, bilanciata tra pezzi più cadenzati e terremotanti ed altri letteralmente furiosi e fulminei, entrambi perfettamente in grado di essere ferali e leggiadri allo stesso tempo, grazie ai giochi di leads tra Blomqvist e Persson, sempre melodici ed intensi, e pronti a ripartire subito dopo in riffs marcissimi e mortiferi.
“Death Conquers All” chiarisce subito che i Dismember sono qui per insegnarci cosa sia il death metal, lontani dalle mode e dalle false attitudini, la successiva “Europa Burns” ha lo stesso effetto di un cazzotto nello stomaco, e “Under a Bloodred Sky” si candida ad uno dei pezzi più belli mai scritti dalla band, nonostante un solismo finale alla Maiden un po’ troppo lungo, ma la sensazione di dejavu mette i brividi addosso, chiudendo gli occhi sembra di ascoltare “Skinfather” del mai troppo incensato “Indecent & Obscene” e lo stesso si prova lungo tutta la durata dell’album, specialmente nell’altro capolavoro a titolo “Tide of Blood”. Un paio di pezzi nel finale non sembrano all’altezza della prima metà del disco ma di certo stiamo parlando in ogni caso di death metal con i controfiocchi. Menzione speciale per Matti Karki che, mai come in questa prova, sembra un porco scannato che sta per morire, donando una prestazione memorabile.
Questo è il resoconto completo di un album fantastico, tuttavia non ci sarebbe stato bisogno per convincervi: il disco si chiama “DISMEMBER” e presenta una copertina eccezionale. Che state aspettando?
As long as Dismember lives, Death Metal will reign.