È innegabile che, da qualche tempo a questa parte, rimanere piacevolmente sorpresi dalle pubblicazioni di band pluri blasonate e insignite dell'intoccabile titolo di Metal Gods, anche quando farebbero meglio a imboccare la strada del pensionamento, per non infamare ulteriormente il proprio nome con uscite appena mediocri, è diventata cosa più unica che rara.
Pochi i nomi che si salverebbero dalla lunga lista di delusioni che ancora oggi popolano il mercato discografico e che ricevono uno spropositato e immotivato supporto da parte dei media, i quali si accaniscono nello sfruttare grandi nomi che hanno comprensibilmente esaurito la propria vena creativa e che si ritrovano, a cinquant'anni suonati, a fare la brutta copia di se stessi, su e giù dal palco.
Per fortuna ancora oggi ci sono band in grado di riempire questo squallido vuoto discografico con release di tutto rispetto, anche se il più delle volte si tratta di band legate alla scena underground, con tutto quello di negativo (o positivo, a seconda dei punti di vista) che questo fatto comporta.
Il caso dei The Lord Weird Slough Feg (d'ora in avanti semplicemente Slough Feg) è esemplificativo: attivi dal 1990 riescono oggi a far parlare di sé, anche al di fuori della propria scena undergorund, grazie all'appoggio della nostrana Dragonheart, per la quale esce anche il nuovo album, The Traveller.
E questa è certo una fortuna non da poco, soprattutto per il mercato europeo presso il quale gli Slough Feg hanno sempre riscosso un sentito e meritato successo, specie tra le frange più oltranziste di metalheads che hanno assistito ai loro passati show in compagnia dei Twisted Tower Dire.
A 2 anni dall'uscita di Down Among The Deadman e a 5 da quel Twilight Of The Idols che tanto fece parlare degli Slough Feg al tempo, ecco arrivare il quarto album per la band di San Francisco, The Traveller. I toni epici tanto cari alla band emergono subito dalle prime note dell'intro "The Spinward Marches" il quale apre la strada per l'opening "High Passage/Low Passage", il brano che ci introduce all'ascolto di uno dei più entusiasmanti dischi di Heavy Metal ascoltati negli ultimi tempi.
The Traveller è un concept, come nella tradizione della band, questa volta non incentrato sulla mitologia pagana/celtica, bensì sviluppato attorno ad un fantascientifico viaggio interstellare attraverso nuovi mondi e universi lontani e illustrato nel dettaglio all'interno del booklet che accompagna il cd. Musicalmente, la maestria e la grandezza compositiva della band nel saper dare vita a melodie sempre nuove e coinvolgenti, rimanendo saldamente ancorati alle proprie radici metalliche, è nuovamente testimoniata in questo lavoro.
La voce e la chitarra di Mike Scalzi, vero profeta del verbo dell'Epic Metal, guida magistralmente il resto della band attraverso questo viaggio dove altisonanti e maestosi refrain si accompagnano a intriganti e battaglieri riff di chitarra, tanto essenziali quanto efficaci nella loro semplicità e immediatezza. Nessuna orchestrazione da pseudo operetta, nessun pomposo coro arrangiato da un programmatore midi, ma tanta, tanta passione e amore per questa musica tale da spazzare via in un solo ascolto decine e decine di bieche trovate commerciali mal celate sotto il nome di metal band.
"Vargr Moon" o "Baltech's Lament" sono solo due degli esempi di grandezza di questo The Traveller, dove ogni singolo brano meriterebbe una pagina intera di commenti e apprezzamenti, senza con questo riuscire a descrivere tutto ciò che la musica degli Slough Feg può dare.
Qua e là emergono le varie influenze della band, prime fra tutte quella dei Brocas Helm, riportando alla memoria alcuni degli episodi migliori dell'epic metal degli anni Ottanta, dai primissimi Omen ad alcuni spunti vicini ai Manilla Road, mantenendo una fortissima personalità grazie anche alle contaminazioni celtiche e folk (mai ostentate) come, ad esempio, in "Gene-Ocide", altro tratto distintivo della musica degli Slough Feg.
Inutile forse aggiungere che c'era proprio bisogno di un disco come questo The Traveller, di una band pura e genuina come gli Slough Feg, per nutrire di nuova linfa vitale gli inariditi cuori d'acciaio dei veri defender, ai quali si impone come obbligatorio per lo meno l'ascolto dell'intero album, per ritrovare la gioia e l'orgoglio di credere in questa musica immortale che ancora, grazie all'operato di tante piccole oneste band, può dirsi viva e in grado di dare magistrali lezioni come in questo caso.
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