E fu così che il signor
Warrel Dane, ai più noto per essere il singer dei
Nevermore, sfornò il suo primo disco solista, invece di preparare un nuovo album con la band madre. Non pochi hanno visto in questa mossa un sentore di qualcosa che non va all’interno dei Nevermore, fermi a “This godless Endeavour” del 2005. molto più probabilmente, invece, è soltanto il bisogno di esprimersi di un artista, che milita in una band dove il sound è ‘rigido’, intendendo con tale termine la necessità di soddisfare delle esigenze, di fans e di critica, che poco spazio consentono all’estro e all’allontanamento dal genere di appartenenza.
Ma parliamo di questo
“Praises to the War Machine”. Il disco ci presenta 12 tracce, che il buon Darrel ha realizzato in studio con l’aiuto di buona parte dei
Soilwork: parliamo, nello specifico, del batterista Dirk e dell’ex ascia Peter Wichers, qui in veste di chitarrista, bassista, produttore e co-songwriter… niente male! Affidata l’altra chitarra a Matt Wicklund, Darrel si butta a capofitto in un heavy metal molto più canonico e ‘gestibile’ di quello dei Nevermore, infarcito di molta melodia, molta più di quanto, forse, sarebbe lecito aspettarsi da un cantante che ha fatto dell’aggressività vocale il suo marchio distintivo! Ma tant’è, le canzoni suonano dannatamente bene, almeno all’inizio… Si, perché andando avanti con gli ascolti, si avverte come la sensazione che questo disco si assomigli un po’ troppo, che la ricerca di una soluzione sonora alternativa a quella della band di provenienza abbia portato Darrel, o chi ha arrangiato le canzoni per lui, ad appiattire la proposta sonora in una miscela (riuscitissima, per carità) di energia e melodia, quasi a non voler strafare, quasi a voler a tutti i costi dimostrare di essere ben più di quel che tutti ti hanno sempre considerato, quasi a voler affermare che essere un cantante tutto potenza e aggressività non è, o non è più, la tua vera dimensione artistica.
I pezzi si susseguono fotocopiando atmosfera e mood, mutuando sensazioni uno dall’altro, prestandosi colori e melodie, rincorrendo un ideale sonoro a metà strada tra la ‘botta’ targata Nevermore e un sound più moderno, drammatico e incentrato sui testi, quasi tutti rifacentisi a tematiche dolorose, spesso ruotanti intorno al tema della guerra.
Cosa se sia venuto fuori, in realtà, non è facilissimo da decifrare. Dopo svariati ascolti, questo “Praises to the War Machine” mi dà la sensazione di un disco dalla longevità non eccezionale, forse proprio per la troppa similarità tra le canzoni. Se dovessi, a memoria, ricordare il titolo di un pezzo, o semplicemente il numero di una traccia che mi ha particolarmente colpito, non saprei cosa dirvi. Certo è che le canzoni non sono affatto brutte, anzi: la potenza non è sicuramente messa in cantina, e Darrel ha una voce che gli consente agilmente di spaziare in ambiti non vicinissimi al più classico Nevermore-sound. Ciò non toglie, cari amici, che questo disco mi sa di insipido, come se mancasse quella strana, inspiegabile alchimia che rende una manciata di canzoni qualcosa di cui parlare, sentire, respirare, vivere.
Giudizio? Mi rimetto alla clemenza della corte, per commentare questo esordio di Warrel Dane cito gli immortali Elio e le Storie Tese: “Né carne né pesce, la mia angoscia non decresce”.
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