Indubbiamente difficile delineare un giudizio incontestabile sul ritorno dei veterani
Testament che, dopo ben 9 anni da quel "
The Gathering" che li rilanciò soprattutto alla luce del rispetto di tutti i metallari del globo che era venuto meno dopo il tanto discusso "
Demonic", si rituffano a capofitto nel
thrash metal bay area old style con questo album dal titolo 80iano ed eclatante, "
The Formation of Damnation", che a nostro parere parte a spron battuto sin dalla splendida cover.
Come accennato, le atmosfere pesanti e quasi death metal di "The Gathering" vengono abbandonate, persino la voce di un Chuck ormai ristabilitosi dalla brutta malattia che lo colpì svariati anni fa torna sulle tonalità a noi tanto care dei 5 dischi d'oro dei Testament, e la formazione praticamente originale (con l'eccezione di Louie Clemente alla batteria, "sostituito" - si fa per dire - dall'eccelso Paul Bostaph) dimostra il pieno intento di cimentarsi nuovamente in un thrash metal al 100%, senza contaminazioni e pochissime variazioni di tema.
Con quali risultati? A questo punto è d'obbligo una precisazione. I Testament, pur invecchiati e tra mille problemi, saprebbero scrivere nei momenti di passatempo, tra una sessione di playstation e l'altra, un disco nettamente migliore del 99% dei gruppi thrash odierni.
A volte si percepisce nettamente l'impressione che qualche brano sia stato scritto in una manciata di secondi, eppure quei pochi secondi spazzano via ore ed ore di studio di chissà quali architetture sonore; sarà la voce di Chuck, sarà l'innata capacità di
Peterson a disegnare riffs taglienti e di
Skolnick a cesellare fantastici assoli (ahimè, terribilmente in secondo piano per tutta la durata del disco) ma i Testament posseggono più talento in un'unghia che tutti insieme i gruppi thrash-core che ci vengono propinati a quintalate da ogni etichetta della Terra.
Detto questo, dimenticatevi immediatamente che "
The Formation of Damnation" possa solo lontanamente competere con i capolavori del passato: pur presentando dei buonissimi brani, come la anticipata "
More Than Meets The Eye", la breve ma bellissima intro "
For the Glory of..." e l'energica e violenta title-track, manca quella scintilla di genialità che contraddistingueva ogni brano del passato dei Testament.
Tanto manierismo, tanto savoir-fair, tanta classe: questo sì, e gliene va dato atto, ma i tempi d'oro sono irrimediabilmente perduti.
Purtroppo non manca qualche brano decisamente sotto tono, sia nei capitoli maggiormente moderni in stile "
Low" che in quelli alla "
Practice What You Preach" come "
Dangers of the Faithless" e "
The Persecuted Won't Forget", che francamente non si capisce dove vadano a parare, mentre brillano per energia e vitalità "
Henchman Ride" ed "
Afterlife", con l'ottima chiusura affidata ad una particolarissima ma efficace "
Leave Me Forever".
Che dire quindi in definitiva di questo "
The Formation of Damnation"?
Tante cose: inizierei dal dire che i Testament ci mancavano tantissimo e che quindi un loro ritorno è cosa più che gradita; che il nuovo disco pur non essendo certo un capolavoro si lascia apprezzare, soprattutto da parte degli irriducibili della band, e che pur con la sua "normalità" spazza via la quasi totalità del resto del panorama thrash/extreme mondiale; che vengono abbracciati gli stili di molti loro dischi del passato, soprattutto "
Practice" e "
Low", con rarissime puntate al sound di "
The Gathering"; che
Bostaph ha fatto davvero un lavorone e si conferma un signor batterista, mentre
Skolnick appare perlopiù una delusione, troppo relegato in secondo piano e con assoli non all'altezza; che il buon
Chuck, sebbene troppo filtrato ed edulcorato, ci piace più in questa veste classica che in quella da growler; ed infine che la produzione è assolutamente ottima ma che per una volta, una volta sola, vorrei tornare a quelle belle produzioni di una volta, semplicissime ma aggressive come non mai, e che questo sound ipercompresso, soprattutto in un disco che vorrebbe essere un ritorno al passato, c'ha rotto veramente le scatole.
Di questi tempi, un disco davvero fondamentale. Ma l'attesa non è stata ripagata del tutto. Va bene così.