Per la maggior parte di voi il nome Demiurg suonerà nuovo, mentre i più attenti e informati sapranno che, dietro questo nome, si cela l'ennesimo gruppo che annovera tra le sue fila Dan "so suonare anche i preservativi usati" Swano e che quello che mi appresto a recensire è il loro secondo album. Rispetto all'esordio ci sono stati vari cambiamenti di line up che lasciavano presupporre anche un cambiamento di suono o quantomeno di qualità. Il buon Dan infatti lascia la postazione dietro le pelli a Ed Warby (Gorefest, Ayreon) e passa alla chitarra. A completare la line up un altro veterano, Rogga Johansson (voce e chitarra) e Johan Berglund al basso.
Quello che troverete in questo The Hate Chamber è puro e semplice death svedese old style. Pensate ai Grave, agli Unleashed o naturalmente agli Edge Of Sanity per orientarvi. Violento, secco, gelido, questo album è assolutamente privo di fronzoli, e ci consegna un ritorno alle radici di questo genere, in cui non c'era bisogno di fare 3700 note in un secondo con una batteria a 250 di metronomo per suonare cattivi. Infatti qui non troverete velocisti della batteria con blastbeat furiosi nè riff particolarmente arzigolosi. La batteria è efficace, dinamica e varia, passa con agilità da down tempo pesantissimi ad up tempo minimali sforando solo di rado nel campo dei blastbeats. I riff sono asciutti e violenti, in pura tradizione death svedese. Rogga offre una prova assolutamente sopra le righe dal punto di vista vocale, con un growl potente e sentito. A completare il tutto un basso metallico che fa da jolly, talora accompagnando lo scorrere della canzone, talora acquistando un ruolo solista (si veda l'inizio di Dawn Dusk Delusion). Il mix che ne esce è davvero di altissima qualità. Anche grazie a un Dan Swano in stato di grazia nel tirare fuori un suono semplicemente magistrale, perfetto.
Le canzoni sono tutte efficaci e potenti nel loro essere scarne. Nulla di nuovo sotto il sole a dire il vero, ma la classe dei vecchi volponi del genere si sente eccome. L'opener Resurrecting The Rotting è una vera badilata dal suono pesantissimo ed esemplifica benissimo l'anima più primitiva del gruppo. Anima alla quale viene affiancata una gemella introspettiva e malinconica che raggiunge l'apice con l'ultima Cult Of Dagon. Nell'arco dell'album queste due anime si rincorrono, si inquinano vicendevolmente fornendo un risultato ottimamente cangiante e vario. Cosi riff violenti cambiano improvvisamente sapore per l'apparire di una tastiera glaciale e intro atmosferiche vengono spazzate via dall'entrata di chitarre dall'attitudine asfaltatrice.
Insomma una piacevolissima sorpresa, o meglio mezza sorpresa (in fondo bastava leggere la line up per sapere che questo album non poteva essere mediocre). Nato come un progetto studio di Rogga Johansson, i Demiurg sembrano aver preso una piega diversa e poter assurgere al ruolo di vero e proprio gruppo, e visti i risultati credo che ci sia da sperarlo vivamente. Per tutti gli amanti del death old style, non fatevelo sfuggire, sarebbe davvero un peccato.
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