Tygers Of Pan Tang. Con un nome evocante la scrittura visionaria di William Blake e quella fantastica di Michael Moorcock, e grazie ad un suono energico, duro ed aggressivo, era abbastanza agevole attirare l’attenzione di un “fanciullo” alla continua ricerca di nuove stimolazioni metalliche.
E’ proprio con il debutto “Wild cat”, che il sottoscritto “s’innamorò” (artisticamente s’intende!) di questi temibili felini inglesi (originari della zona di Whitley Bay, una località balneare nel nord dell’Inghilterra), un album irruente, per certi versi quasi “scorbutico” (soprattutto a causa dell’ugola acerba di Jess Cox), ma incredibilmente traente per merito di brani quali “Slave to freedom”, “Killers”, “Insanity” o il NWOBHM minor classic “Euthanasia”.
Poi arrivò “Spellbound”, e con gli ingressi di John James Sykes (alla seconda chitarra, ex Streetfighters nonché futuro Thin Lizzy, Whitesnake e Blue Murder) e John Deverill (proveniente dai Persian Risk, nella gestione del microfono) si materializza quello che considero il capolavoro della band, pieno di brio, freschezza e impatto, sostenuto da una voce veramente duttile, potente in “Silver and gold”, “Take it” e “Gangland”, maggiormente lirica in ballads come “Mirror” e “Don’t stop by”.
Fui davvero ammaliato dalla prestazione del gallese, tanto che il poster con il suo “faccione” finì velocemente sulla parete della mia “cameretta”, segno inequivocabile di una gratificazione “enorme” di cui “probabilmente” non si è mai giovato.
Ancora ottime vibrazioni con il successivo “Crazy night”, che mescolava il tipico approccio del suo predecessore e lasciva pure intravedere avvisaglie degli sviluppi manifestati compiutamente in “The cage”, un platter in cui una maggiore ricerca melodica, con conseguente ammorbidimento delle strutture armoniche, causò non poche perplessità e “disamoramenti” nei fans della prima ora, nonostante una parte della critica britannica lo avesse accolto piuttosto benevolmente.
Tale situazione e alcuni problemi manageriali determinarono la perdita del contratto con la MCA e con i superstiti Deverill e Brian Dick la band licenzia per la Music for Nations “The wreck-age”, un esempio di metal melodico di discreta fattura, troppo convenzionale, però, per un credibile confronto con l’illustre passato.
La discografia del gruppo evidenzia anche altri capitoli, ma qui si conclude la mia “storia” con i Tygers Of Pan Tang, con un conseguente avvicendamento del loro poster nella mia “galleria privata”.
Fino ad adesso almeno, perché con “Animal istinct”, le tigri ritornano a ruggire con nuove canzoni tra le pareti della mia “magione” e lo fanno con un timbro inedito, dacché il ruolo che fu di Cox e Deverill è oggi occupato da una gloria tricolore, quel Jacopo Meille capace di contribuire da par suo alle scintillanti prove dei nostrani Mantra.
Gli artigli si dimostrano ancora affilati come ai bei tempi e sotto la direzione dell’inossidabile membro fondatore Robb Weir, i Tygers del 2008 offrono un favoloso spaccato di hard rock impregnato della classica tradizione britannica, “semplice” e incredibilmente trascinante, dove le note sono sempre quelle “giuste” senza parsimonie o ridondanze, praticamente perfette per chi ama queste sonorità.
La conduzione vocale plasmata sulle colorazioni del divino Plant di Jacopo appare assolutamente integrata nelle composizioni (alla cui stesura ha altresì partecipato!) e la sua performance è come di consueto nientemeno che irreprensibile.
“Cry sweet freedom”, “Rock candy”, “Bury the hatchet” (un assalto in pieno NWOBHM style), “Live for the day”, “Devils find a fool” (da brividi il suo irretente ardore bluesy), “Hot blooded”, “Cruisin’” e “Dark rider” (altro riffone old-fashioned dall’irresistibile appeal) sono brani costruiti su belle melodie, vibrante forza espressiva e su un gran lavoro di chitarre (a volte riappare addirittura un’adescante voicebox!), archetipi di quel classic british hard rock in grado sì di condurvi in un viaggio nostalgico lungo la linea della memoria (mutuando le parole usate dallo stesso Robb nelle note del booklet), ma anche talmente ben congeniati e vitali da persuadere anche il meno “sospirante” dei musicofili di settore.
Non fossi un po’ troppo “grandicello” per certe cose, un manifestino dei nuovi Tygers Of Pan Tang meriterebbe tranquillamente, a questo punto, di tornare a fare bella mostra di sé sul muro della mia stanza deputata alle audizioni … A parte queste facezie “personali”, “Animal istinct” è veramente un disco egregio, da godere dal primo all’ultimo minuto, nell’attesa che arrivi l’occasione di poterne testare le qualità anche durante un’esibizione dal vivo, situazione in cui i Tygers Of Pan Tang si sono sempre distinti per una straordinaria intensità.