Diciamo subito che se un cantante decide di aprire il suo primo full-length autoprodotto con la riproposizione di “We all die young”, canzone degli Steelheart diventata, sempre con la voce straordinaria di Miljenko ‘Michael’ Matijevic, uno dei pezzi forti dei fantomatici Steel Dragon nel film “Rock Star”, o ha grande consapevolezza dei suoi mezzi, o ha qualche evidente propensione musical-masochistica.
Ebbene, Alberto Bastianelli non soffre di questo tipo di “deviazione”, ed è sufficiente la sua prestazione su questo brano (che adoro, tra l’altro) non esattamente agevole da affrontare, per dare la “misura” della sua preparazione vocale.
“I still rock” è, però, molto di più. E’ sicuramente il disco di un vocalist carismatico ed espressivo, ma pure il frutto del lavoro di un abile arrangiatore e di un eccellente songwriter, alimentato dalla passione per l’hard rock cromato e melodico degli mid-eighties, illuminato di una “naturalezza” nella scrittura assai sorprendente.
Le sue canzoni e la sua laringe sembrano, infatti, aver assorbito attitudine e vocazione dai grandi nomi dell’epoca (qualche nome in ordine sparso, Whitesnake, Dokken, Malice, Skid Row, Bon Jovi, TNT, Journey, …) e tuttavia non scatenano mai fastidiosi deja-vu o quelle sgradevoli sensazioni di “prefabbricato” che i tentativi d’imitazione eccessivamente maldestri evocano piuttosto diffusamente.
Con l’aiuto di un team di ottimi musicisti e “pen-pals”, Alberto ha realizzato un prodotto pregno di feeling e d’intensità espressiva, che si esprime tramite un suono singolarmente (per un’autoproduzione) cristallino ed equilibrato e dove, se vogliamo proprio fare i pignoli, l’unica “nota” vagamente fuori luogo è l’uso del programming in fase ritmica.
La verve graffiante di “It was not a dream” ed “Endless cage”, le cadenze traenti di “I don’t care” e della bellissima “Liar”, l’hard rock dal gusto raffinato di “I can’t change my heart” e l’intensa power ballad “I lost you”, capace di un notevole potere di suggestione, sono esempi piuttosto eloquenti delle qualità non comuni del nostro e dei suoi pards, nonché la dimostrazione evidente che non manca davvero nulla per un’ampiamente meritata “ascensione” a livelli di maggiore visibilità discografica.
Ah, già quasi dimenticavo, se ancora non bastasse, ecco il suggello finale, “Home of the brave” cover degli AOR-Gods Toto, risolta con bravura e temperamento … Che la buona sorte possa rischiarare il cammino di Alberto Bastianelli, perché la tecnica, la fantasia e la competenza spesso non sono sufficienti, in modo particolare se sei nato in un Paese dove il rock è comunque ancora una “scoperta” relativamente recente.
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