OSI - Office Of Strategic Influence

Copertina 4

Info

Anno di uscita:2003
Durata:47 min.
Etichetta:Inside Out
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. THE NEW MATH (WHAT HE SAID)
  2. OSI
  3. WHEN YOU´RE READY
  4. HORSESHOES AND B-52´S
  5. HEAD
  6. HELLO, HELICOPTER!
  7. SHUTDOWN
  8. DIRT FROM A HOLY PLACE
  9. MEMORY DAYDREAMS LAPSES
  10. MEMORY DAYDREAMS LAPSES

Line up

  • Kevin Moore: keyboards
  • Jim Matheos: guitars
  • Mike Portnoy: drums
  • Sean Malone: bass

Voto medio utenti

Non è detto che squadre di all-stars debbano sempre funzionare e stupire.
Alla luce della mia stima per i musicisti coinvolti, mi dispiace dover constatare di aver ravvisato una grossa delusione all'ascolto di questo a lungo atteso lavoro.
Compositivamente parlando, i brani si pongono come via di mezzo tra i Chroma Key ed i Fates Warning di "Disconnected".
Ben memori di quanto di buono abbiano prodotto questi due progetti fin d'ora, era (sembrava) d'obbligo aspettarsi un risultato all'altezza.
O.S.I. fallisce proprio in quest'ottica: la fusione netta tra queste due componenti in definitiva non trova riscontri positivi, almeno per quanto riguarda questa realizzazione.
A pagare dazio in primis è la voce di Moore.
Non dà mai l'impressione di funzionare a dovere sui riffs granitici e corposi di Matheos. A questo aggiungiamoci la non trascurabile abitudine ad ascoltare su questi riffs la voce e l'interpretazione di Ray Alder ed il paragone diventerà inevitabilmente impietoso. Sì, un "colpo basso", ma sostanzialmente non fuori luogo, visto il risultato finale.
La situazione migliora in momenti più marcatamente Chroma Key come "When You're Ready" (ottime le atmosfere e le melodie), "Head", "Hello, Helicopter" (che, però, si riduce essenzialmente ad una gradevole canzoncina).

......Sean Malone??? Chi l'ha visto?
Il suo apporto esce fortemente penalizzato, ingabbiato in schemi e da arrangiamenti in gran parte decisi preventivamente da "altri"; probabilmente anche a causa dell'impossibilità per i musicisti coinvolti di poter suonare in sala insieme ed, a quanto pare, dall'ulteriore, difficile sua situazone di registrare le proprie parti addirittura a lavoro ormai quasi del tutto finito ed impacchettato. Il "vero" Sean Malone è inesistente e non si tratta di "limitarsi per il bene delle composizioni", non si tratta di "mettere al servizio delle composizioni la propria tecnica". Qui semplicemente siamo al cospetto di un musicista che non ha avuto modo di esprimere la propria personalità esecutiva, la propria personale propensione per gli arrangiamenti. Un artista "musicalmente castrato" nel contesto, lì per dovere di presenza, senza la minima opportunità di far emergere il proprio intelletto.

Il brano "OSI", dopo l'iniziale strumentale "The New Math", mette in risalto un dualismo voce/chitarre che non regge per nulla. La melodia vocale da organetto del luna park peggiora ulteriormente il tutto.
Moore spesso non fa che spersonalizzare le dinamiche di Matheos, il cui lavoro chitarristico, peraltro, non sempre si rivela ispirato.....e francamente non regge il confronto con l'operato di "Disconnected", del quale risulta così affine e coerente sotto molti punti di vista.
A metterci la proverbiale pezza ed a tirar su la consistenza dei brani, c'è almeno l'ottimo apporto di Portnoy, anche se a tratti non sempre a suo agio nel dover integrare i momenti più caratterizzati da loops ritmici.
Caso lampante è costituito da "Memory Daydreams Lapses", brano dai buoni intenti, che dopo una partenza in sordina, si sviluppa impostato essenzialmente su di un campionamento incessante che funge da linea retta, attorno alla quale si evolvono e s'intersecano tutti gli strumenti, elementi elettronici compresi.
Peccato che per intenti del genere sia essenziale un interplay serrato e "credibile" tra tutti i musicisti, elemento che in quest'occasione latita e si sente, appunto dovuto dalla mancata possibilità di far perno necessaro su parti più marcatamente improvvisative.
"Shot Down" (che vede come ospite Steven Wilson dei Porcupine Tree) fa trasparire una buona struttura, ma complessivamente mette a dura prova le palpebre per tutti i suoi 10 minuti.
Il brano fallisce essenzialmente nella seconda parte più ritmicamente sostenuta, ma inconcludente e troppo ripetitiva. Si perde col passare dei secondi e non riesce nell'intento di far da contraltare alla depressiva, lenta, claustrofobica, ipnotica prima parte, rendendola, a brano concluso, vana.

Poca coesione generale, peraltro, tra gli strumenti. Sembrano scorrere parallelamente gli uni con gli altri, ma senza fondersi a dovere, mai fornendo realmente un'idea d'insieme compatto e vanificando, così, un'ottima produzione sonora.
Così come per la mera tecnica fine a se stessa, anche lo "strano", l' "alternativo", l' "introspezione" fini a loro stessi non pagano.
La musica è fatta per essere suonata ed ascoltata assecondando emozioni, non intenti prestabiliti introdotti a priori meccanicamente e senza sostanziale convinzione, indipendentemente da quali essi siano.
Recensione a cura di Fulvio Bordi

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