Correva l’anno 1991, i
Paradise Lost realizzavano il loro secondo album,
Gothic, ignari forse di cosa erano riusciti a dare alla luce, del demone che avevano evocato e liberato.
Allontanatisi abbastanza dal sound prettamente death del loro debut
Lost Paradise, sperimentano un doom destinato a fare scuola, a inventare e reinventare un genere o anche più di uno; atmosfere buie, chitarre ruvide e distorte, a volte melodiche, un growl viscerale, inserti orchestrali, tutti elementi che confluiscono in un’armonia angosciante che, come trascinata da un vento gelido in una notte senza luna, si avvinghia all’anima lasciando il suo segno indelebile.
Ovviamente questo disco non può che essere considerato anche (e sottolineo
anche) gotico, nell’accezione più pura della definizione –e non solo per il nome-, partendo dai testi che inscenano la sofferenza di un’anima in preda alla più dannata delle malinconie: basta ascoltare la title-track costruita interamente sulle dualità: dei tempi di esecuzione, dei riff corrosivi contrapposti a battute melodiche, delle voci Holmes e
Sarah Marrion che instaurano il duetto goth per antonomasia -la bella e la bestia iniziano il loro ballo- il tutto impreziosito dalla componente orchestrale mai predominante a dispetto del fatto che dietro ci sia la
The Raptured Symphony Orchestra e non un semplice synth .
Si apre così la strada che conduce al mondo del Gothic Metal, quello vero, oscuro, atmosferico che attinge molti elementi dal black e dal death metal, sia in termini di songwriting che di background musicale condiviso inoltre con questo modo di intendere il doom, ponendo allo stesso tempo anche le basi per il gothic fondato prevalentemente sull’aspetto sinfonico tipico di molte band caratterizzate dall’uso della contrapposizione di vocals death a voci eteree o più semplicemente soltanto female fronted.
Ma non dimentichiamo che non possiamo fermarci qui, non dimentichiamoci che non stiamo ascoltando del semplice gothic, sarebbe come eluderne lo sguardo senza lasciarsi sprofondare nell’oscurità di cui è custode. Siamo solo alla punta dell’iceberg.
L’evoluzione della specie, death metal plasmato, anch’esso dilaniato, reso duttile per creare atmosfere affliggenti e riflessive, dalla ritmica lancinante e martellante ma anche suadente. Una sperimentazione che ha come risultante un doom tetro e pungente dalle vibrazioni distorte che diverrà il capostipite di un intero mondo musicale.
A distanza di vent’anni e più, meriti stilistici e accademici a parte, cosa resta di Gothic? Senza ombra di dubbio un sound unico capace ancora di imporre la sua forza ad ogni ascolto, non ancora del tutto levigato, impresa che neanche gli stessi Paradise Lost sono riusciti a portare a termine nei loro lavori immediatamente seguenti, i quali anzi si sono rivelati di livello ben inferiore. Testimoni di questo successo gli stralci irruenti di
“Dead Emotions” che si rivela tra i brani più vigorosi dell’album rappresentandone l’essenza quanto e anche più della title-track, come del resto anche
“Shattered” nonostante l’assenza dell’orchestra sullo sfondo, e la melodia epica di
“Eternal” squarciato da un growl adirato e possente.
Ottima la continuità generale e un’armonia di fondo sembra attraversare l’intero album; ogni brano sembra occupare il suo posto come dimostra anche il breve intermezzo strumentale
“Angel Tears” che crea un lieve clima di attesa prima delle battute finali affidate alla tormentata
“Silent” e alle note rassegnate di
“Painless”, altro brano realizzato attorno al canto a due voci. Chiusura nuovamente strumentale con
“Desolate” per una sinfonia tombale che conclude l’opera nel migliore dei modi.
Della produzione si potrebbe parlare per ore, riuscendo comunque a scontentare tutti, tra chi la considera una pecca, forse l’unica, di questo lavoro e chi quel tocco in più: non proprio ottima, anzi abbastanza grezza ma non riesco a farmi la benché minima idea di cosa ne sarebbe stato di quest’album senza questo effetto torbido.
Proposta azzardata per quei tempi, come del resto molti dei lavori della band britannica, si è rivelato un capolavoro che tende e all’infinito alla perfezione senza raggiungerla del tutto e forse è proprio questo il suo punto di forza che gli vale il massimo dei voti; Gothic resta una delle migliori uscite dei Paradise Lost, forgiato su una delle interpretazioni più superbe di Holmes ma soprattutto reso sublime dalla prestazione di Mackintosh alla chitarra; in definitiva quanto di meglio ci si poteva aspettare dall’intero panorama metal di fine secolo e non solo. Divenuto ormai senza tempo, un monolite miliare, un testo sacro, un (o il) Manuale e con molta probabilità anche quello che state ascoltando in questo momento magari parte proprio dall’ispirazione che continua ad esercitare.
Immortale!