In questa mia fase patriottica/nostalgica non poteva mancare un tributo al più importante, influente, pacchiano, palestrato, chiacchierato gruppo power italiano di sempre: i
Rhapsody. Ero parecchio giovincello quando mi imbattei (per sbaglio tra l’altro) in
“Legendary Tales”. Allora come oggi avevo gusti musicali abbastanza eterogenei (per me era normale alternare Sex Pistols, Genesis e Cat Stevens) ma lo shock provocato dalla band triestina fu come un fulmine a ciel sereno: un riuscito connubio tra rock/metal e musica classica, un immaginario epico/medievaleggiante (e sì, un po’ da invasati), un azzeccato equilibrio tra strumenti “classici” ed elettrici, una voce da brividi (il nostro amato “Fabione Nazionale”), un senso della misura invidiabile nonostante la tantissima carne al fuoco. Alla faccia della band esordiente! Il periodo, a livello internazionale, era sicuramente “fertile” (si pensi agli Stratovarius, ai Blind Guardian, agli Hammerfall, agli Angra e chi più ne ha più ne metta) ma il primo full-length della band italiana non è stato solo il trampolino di lancio per la loro carriera bensì ha spalancato le porte a innumerevoli altre realtà che altrimenti sarebbero rimaste confinate nelle proprie sale prove o poco più (se un certo modo di concepire il metal non avesse avuto riscontri di mercato positivi non so se qualcuno avrebbe scommesso, ad esempio, su band come gli Epica o simili).
“Warrior Of Ice”, “Rage Of The Winter”, “Flames Of Revenge”, “Land Of Immortals”, “Lord Of The Thunder” sono brani che ancora oggi gli amanti del genere ascoltano (e ricordano) con piacere per le loro melodie efficaci, gli arrangiamenti pomposi, le atmosfere volutamente barocche e folkloristiche. Cosa ha reso grandi i
Rhapsody nel tempo? A mio avviso la risposta è una sola, ed è la
continuità, la capacità di produrre album a raffica (tra uscite di gruppo e solistiche parliamo di un disco all’anno dal 1997 al 2006, con una “pausa forzata” per problemi contrattuali dal 2006 al 2009 e un ritorno coi controfiocchi l’anno seguente a nome
“The Frozen Tears Of Angels”) e sempre all’altezza, nonostante una quasi totale assenza dai palchi e una critica non sempre “equa” nei loro confronti. Dagli italiani c’è spesso da imparare, soprattutto da quelli bravi. Non dimenticatelo. Mai.